Sogno il Teatro degli Orrori a Sanremo, un incubo per molti
La notizia della reunion del Teatro degli Orrori, con tanto di annesso tour “Mai dire mai”, ha riscaldato il cuore di tanti fan. La band di Pierpaolo Capovilla, Gionata Mirai, Giulio Ragno Favero e Francesco Valente, ha incarnato uno degli ultimi sussulti di un rock italiano tutt’altro che accomodante, ma anzi sfidante nei confronti del pubblico. Chi è stato, almeno una volta, a un loro concerto, sempre stracolmi di persone, lo sa: le loro canzoni sono sempre state “pericolose”, febbricitanti, mai dome, scritte per far muovere il cervello e il corpo, non per rassicurare. In sostanza: l’opposto di molta della musica che circola oggi. Da qui una folle suggestione, una speranza, un’utopia.
Un sogno per alcuni, un incubo per altri: visto che il tour partirà a fine febbraio 2025, perché il Teatro degli Orrori non prova a giocarsi la carta del Festival di Sanremo vestendo i panni del vampiro che entra nel luogo sacro della canzonetta italiana? Una presa della Bastiglia. Una partecipazione spericolata con un brano lontano da quel pianeta, un viaggio fino alle colonne d’Ercole della musica. Lo hanno fatto con credibilità, negli anni, gli Afterhours (nella compilation “Il paese reale” lanciata per l’occasione dalla band c’era anche il Teatro degli Orrori con il pezzo “Refusenik”) e gli Zen Circus. Sarebbe meraviglioso e divertente vedere le espressioni e le reazioni dei signori abbronzati in smoking e delle signore imbellettate delle prime file dell’Ariston, davanti a una performance di quel diavolo veneziano di Capovilla. Portare il Teatro degli Orrori dentro il teatro più famoso d’Italia, senza far prigionieri. L’Ariston oggi è senz’altro uno dei luoghi, apparentemente, più distanti dalla storia della band.
Capovilla ha più volte attaccato il mainstream, “la musica di merda” e certe dinamiche dell’industria, senza risparmiare neppure i Maneskin (e chi li ha scoperti, ovvero Manuel Agnelli) che il Festival lo vinsero nel 2021. Ma “in questa comunità così operosa, opulenta e vanitosa mai dire mai, ne va della sopravvivenza”, cantano proprio loro in “Mai dire mai”, canzone che offre anche il titolo al tour di reunion. E allora che a denti stretti entrino in quei meccanismi, dimostrando che c’è vita altrove. Se ritorno sulle scene deve essere, a dieci anni dall’addio, che allora sia kamikaze, con il botto, con magari nuove canzoni ribelli pronte a riecheggiare ovunque, anche all’Ariston. Perché no? Anche perché il Teatro, nella sua storia, ha dimostrato di saper scrivere ottimi pezzi: su quel palco con un brano come “La canzone di Tom”, una delle gemme cantautorali scritte dal gruppo, dedicata a Tom Dreyer, amico di Capovilla morto in un incidente stradale, avrebbero lasciato e lascerebbero il segno.
Proprio “Dell’impero delle tenebre”, il disco da cui è tratta “La canzone di Tom”, il loro primo vagito, è sicuramente uno dei dischi seminali di quel fermento dei primi anni 2000 che ha caratterizzato la scena indipendente. Tra urla viscerali, declamazioni alla Carmelo Bene e poesia, scomodando anche Céline e Baudelaire, il progetto ha segnato indelebilmente i suoni e il percorso artistico del gruppo. Il disco affronta con cinica amarezza e totale disincanto la perdita di identità e valori, la difficoltà di vivere in un mondo arido e privo di empatia, ma non manca la forza dei sentimenti più puri. Dopo quel primo gioiello sono arrivati “A sangue freddo” del 2009, il loro disco per eccellenza, “Il mondo nuovo” del 2012, l’album più aperto che ha permesso al gruppo di moltiplicare il proprio pubblico, e l’omonimo “Il Teatro degli Orrori” del 2015 con cui tentarono, senza riuscirci del tutto, di tornare al fuoco noise delle origini. Non sappiamo che cosa ci riserverà il 2025 del Teatro, ma una loro partecipazione al Festival sarebbe tanto imprevedibile quanto rivoluzionaria: un “Carrarmatorock” nel tempio.