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Classic rock: Alan Parsons Project, gli epigoni

Il concept album come forma espressiva
Classic rock: Alan Parsons Project, gli epigoni

Potremmo stare ore a dibattere sul reale significato di un termine come "classic rock". Per tradizione, esso è associato a quelle formazioni dei Sessanta e Settanta del Novecento che la storia del rock, grazie ai loro album, l'hanno propriamente scritta. Jimi Hendrix, Who, Cream, passando per Beatles, Rolling Stones, Pink Floyd, Black Sabbath o Led Zeppelin, giusto per tirare in mezzo alcuni fra i più ovvi, o quelli dei quali ha trattato questo appuntamento estivo della domenica che si conclude oggi. "Classic rock" può però includere tanti altri che, a modo loro, la storia di cui sopra l'hanno ampliata o impreziosita. Gli Alan Parsons Project, forti di una visione musicale particolareggiata, tra artwork memorabili, cantati ispirati, arrangiamenti di spessore e un uso sempre attento degli strumenti, sono fra questi.

Il contesto attraverso cui il Project poté affermarsi fu quello degli storici Abbey Road Studios di Londra. Lì avvenne il fatidico incontro che avrebbe spinto le due menti dietro al progetto, Alan Parsons ed Eric Woolfson, a collaborare intimamente. Il secondo era pianista e compositore a contratto, già al fianco del noto Andrew Lloyd Webber; il primo era noto per aver seguito le registrazioni finali dei Beatles (aveva anche registrato il “concerto finale” sulla terrazza della Apple) e, cosa forse più importante, era stato ingegnere del suono su 'The Dark Side Of The Moon', l'album più "classic rock" di sempre. Il coinvolgimento di questi aveva contribuito a dare alla pietra miliare dei Pink Floyd la solidità sonora per cui si continuano a spendere - in modo ormai superfluo - oceani di parole (sua, tra l'altro, l'idea del famoso inizio degli orologi del brano "Time"). Quando però Gilmour e gli altri lo convocarono anche per il successivo 'Wish You Were Here', Parsons declinò poiché già impegnato a dare un senso al suo progetto con Woolfson. Spartendosi diversi ruoli (Parsons si sarebbe occupato maggiormente della produzione, gestendo con il collega la programmazione dei brani e in prevalenza l'impiego di tastiere e sintetizzatori), il fine unico dei due fu quello di comporre e incidere musica di alta qualità, potendo contare sui servigi di una moltitudine di turnisti professionisti: tra questi i cantanti John Miles e Lenny Zakatek, l'arrangiatore Andrew Powell, ma anche il chitarrista Ian Bairnson, poi al fianco di Kate Bush insieme al batterista Stuart Elliott e al bassista David Paton (anch'essi al servizio di Parsons e Woolfson).

La direzione musicale degli APP

Funzionando esclusivamente come band da studio, gli APP si configuravano come un'entità dedita alle produzioni di concept album, e già in questo si potrebbe rilevare un elemento "classico" nel quadro della grande storia del rock. Parsons e Woolfson ne produssero ben dieci, di album, tra il 1976 e il 1987, finendo per superare la cifra di cinquantacinque milioni di album venduti in tutto il mondo. Diversi scenari lirici espressi nelle loro canzoni avrebbero tratto ispirazione dalla figura del maestro della letteratura del brivido Edgar Allan Poe, in special modo il debutto 'Tales Of Mistery And Imagination', uscito nel 1976, eccezionalmente per la casa filmica 20th Century Fox. Il lavoro, il cui titolo era lo stesso di una raccolta di romanzi di Poe, si presentava come un'opera sin troppo intricata e strutturata per essere un debutto. Secondo Parsons, il disco non godette delle giuste attenzioni poiché oscurato dal cambio di etichetta (il Project trovò un rifugio sicuro nella Arista Records) e dalla realizzazione del secondo album, 'I Robot' (1977), ispirato all'opera del romanziere sci-fi Isaac Asimov. Forte di un concept altresì valevole per l'odierna attualità  - lo scontro tra l'intelligenza umana e quella artificiale -, 'I Robot' era e resta un capolavoro di melodia e sperimentazione, e non dovrebbe mancare nella collezione vinilica di ogni buon intenditore che si rispetti. Parsons fu stupito dal fatto che la stampa lo definisse al tempo un disco "prog", dacché per lui gli APP afferivano maggiormente a un contesto "pop". Non a caso, se oggi vi è un termine che ben descriva la musica del Project, quello è "progressive pop". Il singolo "I Wouldn't Want To Be Like You" resta un esempio concreto del perché gli APP possano rientrare nella categoria "classic rock". E’ un brano deliziosamente ritmato e con la chitarra di Ian Bairnson, poi scomparso nell'aprile del 2023, a disegnare fraseggi memorabili. Ma se indiscussa è l'importanza di un 'I Robot', gli elementi che resero quel disco fondamentale furono ulteriormente potenziati in occasione del successivo 'Pyramid', pubblicato un anno più tardi. 'Pyramid' rivelava picchi di enormità compositiva - si guardi alla meraviglia, per fare solo un esempio, di "In The Lap Of The Gods", una strumentale abbellita dall'uso del cimbalion - ma metteva altresì in luce una certa eterogeneità soft-rock a completamento dell'opera. 'Pyramid' guardava al misticismo dell'egittologia e delle piramidi e fu un colpo perfetto anche per il suo artwork, curato da Storm Thorgerson dello studio Hipgnosis, lo stesso dietro al prisma triangolare rifrangente di 'The Dark Side Of The Moon'. Gli anni Settanta gli APP li conclusero in forma smagliante, precisamente con 'Eve', un lavoro intrigante, seppur meno sperimentale del solito, il cui focus verteva sulla forza e sulle caratteristiche delle donne (fra gli ospiti anche la Clare Torry artefice del vocalizzo improvvisato sulla floydiana "The Great Gig In The Sky" - tanto per rimanere in tema). Nel 1980, poi, il duo si concentrò sul problema del gioco d'azzardo e della ludopatia. Il risultato, 'The Turn Of A Friendly Card', fu un altro colpo messo a segno grazie a una serie di brani come la funkeggiante "Games People Play", la struggente "Time" o la suite omonima all'album e divisa in più parti.

L'apice commerciale del Project

Gli APP toccarono la vetta della loro fama mediante la realizzazione di 'Eye In The Sky', nel 1982. A riascoltarlo oggi (meglio se in versione remaster, però) l'impressione è che rasenti per pienezza i livelli di un 'I Robot' o di un 'Pyramid'. Restare impassibili dinnanzi ai suoi contenuti sarebbe un esercizio impraticabile, a cominciare dalla potente introduzione di "Sirius", storicamente una fra le tracce più abusate nei contesti sportivo e televisivo internazionali (un italico Tg2 d'epoca, forse qualche lettore lo ricorderà, la sfruttò come sigla della rubrica Spazio Sette). Ascolti come "Silence And I" o "Children Of The Moon" combinano insieme ricche trame emotive, mentre "Psychobabble" e "You're Gonna Get Your Fingers Burned" evidenziano il lato più canonico di quel certo rock FM tipico degli Ottanta.

La capacità di trasmettere un senso di equilibrio nella scrittura del materiale, sempre sorretta da una certa qual propensione progressiva negli arrangiamenti, aveva continuato a dare i suoi frutti, insomma, sino al periodo 'Eye In The Sky'. Ciononostante, la troppa inclinazione all'orecchiabilità da parte di Parsons e Woolfson - per quanto mai così tanto, va comunque precisato, da risultare in qualche modo stucchevole - finì per penalizzare in qualche modo la parte conclusiva della loro storia musicale . Nel 1984, la preoccupazione verso i temi dello sfruttamento ambientale fece da perno al racconto di 'Ammonia Avenue', un lavoro smaliziato però carente di quella tempra che aveva animato il Project in passato, e un singolo "strappalacrime" come "Don't Answer Me" arrivava a richiamare alla mente sonorità vintage in stile Phil Spector (la lunga title track, "Ammonia Avenue", è in ogni caso di tutt'altra fattura). I tre lavori finali a marchio APP, 'Vulture Culture', 'Stereotomy' (entrambi del 1985) e 'Gaudi' (1987) continuarono nella tradizione del concept album. Il primo criticava la "cultura dell'avvoltoio" dell'età moderna, il secondo chiamava in causa la "stereotomia" indicata da Poe nel noto racconto "I Delitti della Rue Morgue", mentre il terzo omaggiava il grande architetto catalano Antoni Gaudí. A tutt'oggi, tali lavori vengono generalmente indicati come i meno interessanti della discografia del duo, ma da una perizia più attenta si vedrà come ognuno di essi rechi in sé qualcosa di prezioso. E per comprendere veramente la natura del Project, è necessario passare anche da qui.

L'eredità di Parsons e Woolfson oggi

Il progetto degli APP terminò ufficialmente nel 1990, dopo che un ipotetico undicesimo album finì col tramutarsi in un lavoro solista di Woolfson (l'interessante 'Freudiana', un tributo alla figura di Sigmund Freud), deceduto infine nel dicembre 2009. Oggi il Project continua a fare proseliti e a essere amato anche da coloro che passano molto tempo sulle reti sociali, dove le pagine inerenti agli APP sono parecchio frequentate. Alan Parsons parla ancora con trasporto, se intervistato al riguardo, dei suo trascorsi con Woolfson. Del resto i loro concept album sono come libri che si leggono e rileggono volentieri, a distanza di anni dalla loro uscita. Motivo per cui, fondamentalmente, continuano a essere periodicamente ristampati e rieditati nei formati più impensabili (una nuova versione di 'Pyramid' è tra le altre cose prevista a breve): per la gioia dei collezionisti e dei follower del "classic rock", tradizionale o meno che sia.

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