Zayn: dagli One Direction all’inferno (e ritorno)

In una grande sala semibuia un cantante seduto su uno sgabello comincia a cantare: “Tried to disconnect my body from my soul”, “Ho provato a disconnettere il mio corpo dalla mia anima”. C’è una sofferenza disarmante nella sua voce. E una sincerità e un’autenticità che colpiscono. Nel ritornello della canzone, intitolata emblematicamente “Alienated”, s’aggrappa all’asta del microfono davanti a lui e sussurra: “Can you let me be intoxicated on my own?”, “Puoi lasciarmi ubriacare da solo?”. E se vi dicessimo che quel cantante è stato il componente di una delle boy band di maggiore successo della storia del pop, 70 milioni di copie vendute a livello mondiale in quattro anni, tra il 2011 e il 2015. Stiamo parlando, naturalmente, degli One Direction: Zayn Malik fu il primo, nella primavera del 2015, a prendere una direzione differente rispetto alla direzione che stavano percorrendo Niall Horan, Liam Payne, Harry Styles e Louis Tomlinson, l’unica percorribile, quella che gli era stata indicata dal mentore del gruppo, Simon Cowell. L’album d’esordio da solista che pubblicò di lì a poco, “Mind of mine”, fu una piacevole sorpresa, un successo di pubblico e di critica che permise al cantante di origini pakistane di entrare a gamba tesa nella Serie A del pop internazionale con una manciata di brani, a partire dalla hit “Pillowtalk”, incentrati su uno squisito r&b rifatto in chiave ultracontemporanea, che spinse molti a scomodare addirittura Frank Ocean quanto a paragoni e reference. Otto anni dopo Zayn, oggi 31enne, torna sulle scene dopo una lunga crisi con un disco che punta a rappresentare per l’ex 1D un nuovo esordio. Almeno sulla carta.
Il cantautore delle quindici canzoni contenute in “Room under the stairs”, che uscirà questo venerdì, 17 maggio, stando alle anticipazioni sarà una sorta di nemesi di quello che per quattro anni girò il mondo come membro della boy band simbolo degli Anni Duemiladieci, un fenomeno pop da oltre 6 milioni di biglietti venduti in quattro anni e 600 milioni di dollari incassati. “Alienated”, che Zayn Malik dice di aver scritto “sei anni fa”, è dedicata a Gigi Hadid, la top model che il cantante conobbe alla fine del 2015, dopo aver già lasciato gli One Direction, madre della figlia, Khai, nata nel 2020: i due si sono separati nell’ottobre del 2021 dopo che la madre della Hadid ha accusato Malik di averla aggredita verbalmente e fisicamente durante un litigio. Zayn è stato condannato da un tribunale della Pennsylvania a un anno di libertà vigilata, nonché a completare un corso per la gestione della rabbia. Oggi Gigi rappresenta l’emblema del passato per Malik, che si prepara a ripartire. Con una nuova etichetta: da RCA, parte del gruppo Sony, a Mercury/Republic, parte del gruppo Universal. Quella carriera che sembrava essere destinata a spiccare il volo dopo “Mind of mine” ha subito delle turbolenze: “Icarus Falls”, il secondo disco post-1D, uscito nel 2018, era un album ambizioso, forse troppo. Forse il pubblico di Zayn non era ancora pronto a un disco lungo un’ora e mezza, contenente 27 canzoni, un kolossal tra r&b, pop, funk rock, trap e elettropop realizzato con tredici produttori in sette studi diversi tra Londra, New York, Hollywood. Icaro era lui, che si avvicinò troppo al sole e precipitò giù. Con “Nobody is listening”, il disco del 2021, provò a rispiccare il volo, ma senza riuscirci più di tanto.
“Alienated” è la chiave per entrare nel mondo del nuovo Zayn, che stavolta sceglie di percorrere la via dell’essenzialità. Ha lavorato al disco insieme a Dave Cobb, produttore di Nashville nove volte vincitore ai Grammy Awards. Un musicista lontano dall’universo sonoro che Malik ha esplorato nel corso della sua carriera finora. Cobb, classe 1974, solitamente lavora con icone della musica americana e country come Chris Stapleton, Brandi Carlile, John Prine, Sturgill Simpson. “Mi ha colpito la sua voce: ci puoi sentire amore, perdita, dolore, umanità. È come se questo disco rimuovesse un filtro dla suo spirito e lo rivelasse direttamente ai suoi fan”, ha detto il produttore in un’intervista a Rolling Stone USA, parlando del suo ruolo nel riposizionamento di Zayn. “Alienated” è stata la prima canzone scritta: “Mi ha aiutato a trovare un modo per avvicinarmi al suono che volevo avesse la mia voce e quindi tutto il resto, come le chitarre. Non so nemmeno come etichettarlo a livello di genere: non voglio dire country, perché non penso che sia country. Penso che sia la mia versione del blues. Ma questo disco non lo si può incasellare in un genere preciso”.
Nelle canzoni di “Room under the stairs” Zayn promette di mettersi a nudo: “È un disco più narrativo: c’è vita vera - anticipa, raccontando di essersi ispirato a Chris Stapleton e addirittura Willie Nelson - l’intenzione dietro questo disco era di permettere ai fan di guardarmi di più dentro come essere umano: le mie ambizioni, le mie paure. Questo sono io. voglio che non ci sia più nessuno tra me e la mia musica”. E forse non è un caso che l’altro singolo del disco si intitoli “What I am”, “Quello che sono”. Nel testo, Zayn dice: “Ho appena fatto i conti, ma i conti non tornano. E ne ho abbastanza di correre”. Speriamo che abbia trovato la sua pace.