Coca Puma è un’autarchica
Quando le chiedi se per caso si senta un pesce fuor d’acqua nel panorama discografico attuale, Coca Puma ridacchia: “Di musica italiana ne ascolto poca. Quello che ho fatto è un riflesso anche di questo. Non direi che mi piace sentirmi un pesce fuor d’acqua. Non ho fatto un album così perché volevo distinguermi, ma perché volevo che rappresentasse quello che mi piace”, dice, parlando del suo album d’esordio “Panorama Olivia”. Quel “così” sintetizza in quattro caratteri tutta l’inetichettabile miscela di sonorità e stili che caratterizza le dieci tracce contenute nel disco, un mix originalissimo di dream pop, nu-soul, elettronica, ambient, jazz e post rock che sfugge a ogni definizione. L’album è appena uscito e sta già regalando alla musicista romana, vero nome Costanza Puma (la Olivia del titolo del disco non è lei, ma una gatta), classe 1998, diverse soddisfazioni. Spotify l’ha citata tra le “next big thing” da tenere d’occhio in questo 2024, inserendola nella versione italiana di Radar, il programma globale della piattaforma di streaming nato per supportare i talenti emergenti (con lei anche Tony Boy, Okgiorgio, Ste, Sally Cruz e Centomilacarie). “Per quelli che sono i miei gusti e le mie sonorità, questi ritornelli iperpompati… Insomma… Ecco… A me non è che piacciano molto”, dice, parlando delle produzioni pop, dalle quali con la sua musica si tiene a debita distanza, dimostrando di voler giocare in un campionato tutto suo.
L’attitudine di Coca Puma è quella di un personaggio femminile di un film del Nanni Moretti degli anni d’oro. È imperscrutabile, misteriosa, enigmatica. Tutto torna, quando anticipa di essere al lavoro in studio alla scrittura della colonna sonora di un film prodotto dalla Sacher Film, la società di produzione e di distribuzione cinematografica fondata proprio dal regista di “Io sono un autarchico”, “Ecce bombo”, “Caro diario” e “Habemum Papam”. Il film si intitola “Quasi a casa”, segnerà l’esordio della 30enne romana Carolina Pavone (fu Nanni Moretti a scoprirla, quando nel 2014 la scelse come assistente alla regia del suo “Mia madre”) e dovrebbe arrivare nelle sale entro la fine dell’anno: la protagonista sarà la 41enne attrice e cantante francese Lou Doillon, figlia del regista Jacques Doillon e della grande Jane Birkin. “È un film a sfondo musicale, ci saranno sia musiche diegetiche, ovvero già note e citate all’interno della sceneggiatura, di cui però non poisso rivelare nulla, sia musiche extradiegetiche composte da me per l’occasione”, racconta.
A Coca Puma sembra che non interessi granché raccontarsi e raccontare la musica che fa: vuole che sia la musica stessa a parlare per lei. È anche per questo che non ama apparire, mostrare il proprio volto. Sui social e sui palchi si presenta sempre con un cappellino abbassato sugli occhi: “È una cosa nata un po’ per timidezza, all’inizio. Non sono un animale da palco. Quando mi esibisco, soprattutto adesso che ho questo progetto solista, mi sento in imbarazzo. Mi piace creare una barriera anche per rimanere concentrata su quello che faccio. E poi alla fine è diventata una sorta di segno di riconoscimento”. Parla di progetto solista non a caso. Prima di iniziare a scrivere e a pubblicare brani come Coca Puma, da “Porta Pia” a “Tardi”, Costanza suonava in una band jazz: “Ci chiamavano Quiver. Era un’esperienza nata alla fine del liceo, con due ragazzi che studiavano a Roma ma che avevano frequentato il Berklee College of Music. È finita perché dopo tanti anni di jam e concerti ad un certo punto abbiamo cominciato ad avere altre esigenze”.
Costanza, che scrive, compone, arrangia e produce, ha quella spocchia tipica di chi ha una grande consapevolezza di sé e di ciò che fa: “Cosa ascolto in genere? In questo momento sto ascoltando un sacco di library italiana (sic) degli Anni ’60 e ’70, produzioni caratterizzate da influenze jazzistiche. E un po’ di elettronica anche. Recentemente ho avuto una leggera infatuazione per la musica house e la techno”. Instancabile collezionista di vinili e cresciuta ascoltando soul, r&b, Joy Orbison, Tame Impala e musica brasiliana, nella sua musica è riuscita a condensare tutte le sue passioni: “Tra le influenze più tangibili credo ci siano quelle del dream pop, del post rock e dell’elettronica. Tutti dite che c’è anche il jazz, ma lo sentite più voi che io. Comunque ci può stare, alla fine ho studiato jazz. Lo vedevo come una palestra che ti dà una grande apertura mentale. È difficile definire l’inizio o lo sviluppo della mia scrittura, il tutto avviene da sé, in momenti dove non sento il controllo di quello che sto facendo. È come se diventassi un’antenna”.