“Watch me go babe, watch me gone”, canta Mark Knopfler in una delle canzoni più belle di "One deep river", il suo decimo album solista appena pubblicato: è la storia di un musicista che parte lasciandosi tutto alle spalle, perché un giorno spera di “andare in tour con Bob e Van”.
A Mark Knopfler è successo: "Ho realizzato molti sogni, mi considero uno dei pochi fortunati individui che sono riusciti a far funzionare questo tipo di vita”, racconta a Rockol via zoom dal suo studio di Londra.
Anche noi lo vediamo ora in una situazione simile: si è lasciato definitivamente alle spalle una parte della sua vita, la carriera sul palco. “Ho chiuso con i tour”, conferma. “È una cosa che ho amato, so che la mia musica è stata scritta anche per quello. Ma sono in una fase della mia vita in cui bisognare pensare a come usare al meglio il tempo, perché non ce n'è più così tanto”. Il giro di concerti del 2019 - terminato poco prima della pandemia e passato anche dall’Italia con diverse tappe - è stato una sorta tour di addio. “Bob e Van sono più tosti di me, in questo” - dice dei due colleghi citati nella canzone e che continuano nei loro “neverending tour”. “Sono grandi in studio, ma a loro questa dimensione non piace quanto a me. Io non vedo l'ora di godermi ancora di più lo studio con la mia band, scrivere e registrare canzoni”.
One Deep River
Insomma, Mark Knopfler non ha intenzione di ritirarsi dalla musica: aspettiamoci nuovi album, ma niente più concerti. “Oggi mi considero più un songwriter che un chitarrista o un performer”, spiega.
"One deep river" riflette già questa decisione: è un lavoro da 25 canzoni che mostra un songwriter in stato di grazia. La versione principale comprende 12 canzoni, a cui se ne aggiungono 9 in due diverse versioni deluxe; e c’è un EP, di quattro canzoni, “The Boy”, che uscirà per il Record Store Day. Tutto è iniziato durante l’ultimo tour e proseguito in pandemia: “In albergo, nel cuore della notte, era facile vedermi percorrere un corridoio alla ricerca di una sedia senza braccioli sui cui sedermi per scrivere una canzone. Questo è un album iniziato on the road, ma in futuro spero di fare la stessa cosa senza lasciare Londra”, racconta.
“One deep river” è un album fortemente radicato nella tradizione statunitense, ancora prima che in quella inglese - come spesso è successo nella sua carriera. Un inglese che è diventato uno dei migliori interpreti del suono americano: “Sono cresciuto ascoltando quella musica alla radio, senza sapere chi la suonasse e di cosa si trattasse, l’ho scoperto solo dopo. Nella tarda adolescenza ero interessato a suonare il blues elettrico dei maestri ed ho anche avuto la fortuna di conoscere Steve Phillips che aveva una enorme collezione di dischi country e blues”. Anni dopo assieme avrebbero formato i Notting Hillbillies, avventura nel suono americano datata 1990, in era Dire Straits. Knopfler racconta come il suo stile di chitarra sia stato profondamente influenzato dal fingerpicking e dal folk: “Penso di essere stato molto fortunato a conoscere quella musica: se non hai quella tradizione nella scrittura in un certo senso perdi un po' di profondità”.
Il fiume e il tempo che passa
La title-track del disco unisce America e Inghilterra attraverso la metafora del fiume, simbolo del tempo che passa: “'Old man river' di Ray Charles è una delle mie canzoni preferite: il fiume è sempre stata una caratteristica importante delle città della mia vita, il Clyde in Scozia, il Tyne a Newcastle e poi il Tamigi a Londra, l’Hudson a New York... Con l'età guardi le cose dall’altra parte del telescopio. Non puoi smettere di guardarti indietro: se ti stai godendo la vita, come per fortuna capita a me, allora il tempo scorre veloce”.
“Non so mai da dove verrà l’ispirazione per una canzone”, continua Knopfler. "Può essere qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Ci sono canzoni che nascono in situazioni precise come 'Money for Nothing' o 'Sultans of swing' e altre che nascono magari mentre in un pub: vedi un dettaglio o senti una conversazione che ti suggerisce una storia”.
Storie di Chitarre
“One deep river” è una galleria di storie e personaggi fuori dal tempo: Knopfler si sentirà pure principalmente un songwriter, ma la sua chitarra - in particolare la sua Stratocaster - nel disco si sente eccome: “Suonare la chitarra mi piace ancora, amo lo strumento ma prima di tutto sono un amante delle canzoni: la uso al loro serivzio. Non so dirti quale sia la mia chitarra preferita oggi, dipende appunto dalla canzone: mi piace trovare la chitarra acustica giusta, uso molto la Les Paul e la Strato: qualche anno fa Fender ha realizzato alcune repliche ma anche ho anche la fortuna di possederne una originale del '54 che a volte uso su un disco”.
L’amore per la chitarra è evidente anche nella versione di 10 minuti di “Going home", pubblicata recentemente assieme ai più grandi chitarristi della sua generazione, e non solo: “Un’esperienza incredibile: il primo a venire in studio è stato Pete Townshend, amo il suo suono. Poi sono arrivati David Gilmour, Jeff Beck, mentre un giorno Bruce Springsteen mi ha mandato la sua parte… davvero, un’esperienza pazzesca”.
Recentemente Knopfler ha messo all’asta una buona parte della sua collezione: “In alcuni casi è stato difficile lasciarle andare, ma erano chitarre che avevano bisogno di nuove case. Ho spesso regalato chitarre alle persone con cui ho suonato negli anni: mi sembrava che fosse la cosa più bella che si possa dare a un musicista o a un cantautore… Mi piace pensare che ci sia una canzone in quasi ogni cosa, in ogni chitarra: è lì che aspetta da qualche parte…”
Il futuro
“Spero di diventare un cantautore migliore, ma non sta a me dirlo”, conclude Knopfler. Una sorta di “fase Beatles”, solo studio e niente palco? “Non so… ma le canzoni continuano ad arrivare e finché sarà così andrò in studio con la mia band ad incidere”.