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David Bowie: 50 anni fa l'addio di Ziggy Stardust (prima parte)

L'ultimo concerto nelle vesti dell'Alieno si tenne il 3 luglio 1973
David Bowie: 50 anni fa l'addio di Ziggy Stardust (prima parte)

Prima parte

 

Il 1972 fu quando le porte della gloria si aprirono definitivamente per David Bowie. Compiendo venticinque anni nel gennaio di quell’anno, su un piano prettamente creativo il nostro non si trovava certo a corto di idee. Anzi, di quelle pareva averne sempre a profusione. Sotto le cure di un nuovo manager, Tony Defries, e con un nuovo accordo discografico con la RCA, la sua stella stava cominciando a brillare grandemente grazie a un album che sarebbe rimasto per sempre nei cuori di tutti i suoi ammiratori: “Hunky Dory”. Il primo singolo tratto dallo stesso, “Changes”, fu anche il suo primo del 1972 (del resto “Hunky Dory” era stato pubblicato da qualche settimana, nel dicembre ‘71) e non è un caso che di “cambiamenti”, per rimanere in tema col titolo di quel brano ormai celebre, ce ne sarebbero stati tanti, a partire dai mesi successivi.

Prima di tutto, la presentazione dello spettacolo dal vivo avrebbe aggiunto man mano qualcosa di più, visivamente parlando, anche se a quello stadio l’idea di teatralità, per il giovane Bowie - lo fece sapere lui stesso alla stampa inglese -, non includeva nessuno sfarzo di scena, quanto semmai uno sfoggio di potenza performativa che lo avrebbe reso, nei fatti, un veicolo per le sue canzoni. “Il teatro non significa necessariamente fare affidamento sui materiali di scena”, disse. “Mi ritengo una persona molto professionale, e quando sono sul palco concentro tutte le mie energie nella performance. Esibendomi, infatti, sento di dare molto di più all’audience che ho di fronte, di quanto non lo faccia con chiunque altro nei momenti in cui non sono sul palco”.

La conoscenza delle proprie potenzialità teatrali sarebbe stata altrettanto importante quanto il fatto di acquisire la padronanza di qualsivoglia strumento musicale, e infatti l’idea innovativa che Bowie perseguì, durante quell’anno, fu quella di creare musica che scaturisse direttamente dall’essenza del nuovo personaggio che inventò, un alter ego che ebbe come missione quella di mandare in orbita la sua carriera medesima. Ziggy Stardust, l’androgino uomo delle stelle inviato sulla Terra morente per infondere un messaggio di speranza; la rockstar del futuro, quella la cui essenza si sarebbe fusa inscindibilmente col suo latore: perlomeno sino alla sera del 3 luglio del 1973, quando Ziggy tenne il suo concerto finale.

Per parlare di questo, però, c’è ancora tempo.

Tanto per cominciare, perché, e come nacque, “Ziggy Stardust”? Secondo il concept fantascientifico-apocalittico ideato da Bowie, dopo aver accumulato un vasto seguito di fan ed essere stato adorato come un messia, Ziggy sarebbe rimasto vittima della propria fama e dei propri eccessi; il personaggio avrebbe quindi e al contempo simboleggiato la figura della star oltraggiosa e sessualmente libera, riflettendo una certa idea di società in cui le celebrità sono destinate a essere adorate proprio in quanto tali. Su un piano di realtà più tangibile, invece, i tratti caratteristici di Ziggy traevano ispirazione da personaggi come il cantante inglese Vince Taylor, ma anche, per quanto riguardava il lato performativo, dal teatro kabuki giapponese. Tuttavia una figura chiave nella creazione di Ziggy fu proprio l’anzidetto Taylor, con cui Bowie venne in contatto in un periodo particolare in cui l’ex leader dei Playboys, a seguito di un forte esaurimento nervoso, aveva sviluppato un disturbo mentale che lo induceva a credere di essere un incrocio fra un dio e un alieno (le allusioni testuali di Bowie alla figura di questi sul brano “Ziggy Stardust”, non a caso, identificano Ziggy come un “messia lebbroso”.) 

Temporalmente, l’ideazione embrionale di Ziggy avrebbe però avuto origine durante il viaggio in America che Bowie compì nel 1971, ovvero nello stesso momento in cui entrò una prima volta in contatto con Iggy Pop e Lou Reed. Vi fu infatti chi riportò di un Bowie intento a scarabocchiare su un tovagliolo da cocktail qualcosa a proposito di un’ipotetica star problematica “di nome Iggy o Ziggy”, tanto che nel rientrare in Inghilterra dichiarò la sua intenzione di dare creazione a un personaggio che all’apparenza potesse dare l’impressione di essere appena “sbarcato da Marte”. Negli anni, tuttavia, il cantante rivelò che un altro stimolo alla creazione dell’identità del suo alter ego sarebbe stato parimenti da ricercarsi nel nome di una sartoria inglese chiamata Ziggy’s, mentre quel “Stardust” derivava più specificamente dal Legendary Stardust Cowboy, nome d’arte del cantante Norman Carl Odam, la cui musica aveva a quanto pare destato una certa qual curiosità in David Bowie.

La band che lo avrebbe quindi accompagnato nella sua nuova creazione, lo sappiamo, furono gli Spiders From Mars, nelle persone di Mick Ronson, versatile chitarrista (nonché compositore e arrangiatore ineccepibile - mai abbastanza apprezzato), del bassista Trevor Bolder e del batterista Mick “Woody” Woodmansey. Quel che tuttavia in pochi sanno, ancora oggi, è che quei “ragni da Marte” del nome della band in sé tributavano il celebre avvistamento di presunti oggetti volanti non identificati allo stadio di Firenze, nel 1954, durante il match Fiorentina-Pistoiese, evento (trasformatosi in un vero caso mediatico) cui sarebbe seguita, a detta dei tanti testimoni, la caduta dal cielo di strani filamenti simili a ragnatele, poi battezzati dalla stampa italiana dell’epoca col nome di “bambagia silicea” o “capelli d’angelo”. Del resto, l’interesse di Bowie per la questione extraterrestre era sempre stata nota, e verso la metà degli anni Settanta avrà anche occasione di sfoggiare le sue doti di attore cinematografico interpretando l’alieno umanoide Thomas Jerome Newton nel film di fantascienza esistenziale “L’Uomo che cadde sulla Terra”, del regista Nicholas Roeg (ma basato sull’omonimo romanzo di Walter Tevis).

Lo Ziggy Stardust Tour, nondimeno, fu interessato da un particolare itinerario. Ebbe luogo in Inghilterra dal gennaio alla prima settimana del settembre 1972, per proseguire in Nord America fino all’inizio di dicembre dello stesso anno, ritornare in Inghilterra e quindi nuovamente negli Stati Uniti nel febbraio 1973, prima di passare dal Giappone e quindi virare nuovamente per l’Inghilterra, dove si sarebbe concluso all’inizio di luglio.

Il programma dei live non servì solo a promuovere l’album della consacrazione, ‘The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars’ (poi uscito nel giugno ‘72), ma in un primo momento anche l’album precedente, appunto ‘Hunky Dory’, e poi più tardi anche il successore di ‘Ziggy’, ‘Aladdin Sane’.

Il tour ebbe formalmente inizio il 29 gennaio 1972 alla Borough Assembly Hall, nella località di Aylesbury: occasione nella quale Bowie scelse di accorciare drasticamente i capelli che sino a quel momento aveva portato molto lunghi, facendoseli tingere di rosso da una parrucchiera locale. Ma fu solo durante il secondo spettacolo, presso il pub Toby Jug di Tolworth (giorno 10 febbraio), che David Bowie svelò per la prima volta in pubblico le sembianze di Ziggy Stardust. Era un pubblico tutt’altro che numeroso - trattandosi appunto di un pub - che comprendeva non più di sessanta persone. Per quanto riguarda i primi spettacoli del 1972 fu infatti questo il tenore in termini di partecipazione da parte degli spettatori, i quali tuttavia sarebbero aumentati con il progredire del successo commerciale di Bowie, arrivando infine a presentarsi a migliaia e migliaia alle venue dei suoi concerti. Allo show del 17 giugno presso l'Oxford Town Hall, quattro giorni dopo la pubblicazione ufficiale di ‘Ziggy Stardust’, Bowie si rese protagonista dell’oggi famosa simulazione di fellatio, dove lo si vede inginocchiato ai piedi di Ronson, sporto giocosamente sulla chitarra di questi ad addentare le corde dello strumento. Lo scatto, entrato poi nella storia, fu realizzato dal grande fotografo musicale Mick Rock e quindi pubblicato sulla copertina dell’oggi defunto «Melody Maker», elevando notevolmente il profilo di Bowie nel Regno Unito. Con l’inizio dell’estate, e più precisamente al Greyhound Park Lane di Croydon, Bowie e gli Spiders vennero supportati da una band che aveva da poco cominciato a rivoluzionare gli stilemi tipici del rock con piglio avant-garde, i Roxy Music. Fu in quel contesto che Bowie e Brian Eno, allora membro dei Roxy (lo sarebbe stato ancora fino all’anno successivo), maturarono l’idea condivisa di collaborare insieme, in un futuro prossimo, senza sapere che il futuro, in realtà, già lo stavano scrivendo singolarmente parlando. Molti anni dopo, nel 2002, Bowie parlò alla stampa di quell’incontro col futuro decano dell’ambient music: “Eno a quell’epoca aveva un aspetto molto glam. Aveva una personalità brillante e imprevedibile, e scoprimmo subito di condividere una serie di passioni musicali del tutto similari. Entrambi, tra l’altro, avevamo avuto la fortuna di presenziare alla prima esibizione londinese di Philip Glass, nel 1970, e insomma, in breve discutemmo anche della possibilità di lavorare insieme”. Cosa che, nei fatti, poté concretizzarsi quando Bowie allestì la sua nota “trilogia berlinese” (quella composta da ‘Low’, ‘“Heroes”’ e ‘Lodger’). Ma questa è tutta un’altra storia.

(1 – segue domani 2 luglio)

 

 

Uscirà l’11 agosto “David Bowie – Ziggy Stardust and the Spiders from Mars. The motion picture – 50th Anniversary”: l’ultimo leggendario show del tour di Ziggy Stardust (3 luglio 1973) per la prima volta per intero, restaurato digitalmente con audio rimasterizzato e disponibile in diversi formati: 2CD & BLU-RAY, 2CD, 2LP edizione limitata in vinile oro e digitale (Standard 44.1KHZ/16BIT e 96KHZ/24BIT).

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