Born in the UK: chi è Sam Fender, l’erede di Bruce Springsteen

Il cantautore britannico, cresciuto con il mito del Boss, aprirà per Springsteen a Ferrara e Roma.

Nelle mie canzoni c’è il sassofono, vengo da una città di provincia e parlo della vita della working class, quindi il paragone è normale. Ma vorrei essere considerato me stesso”, sbotta lui. Suvvia: ci sono etichette decisamente più fastidiose che quella di “erede di Bruce Springsteen”, che è tutt’altro che disonorevole. È così che da anni la critica internazionale chiama Sam Fender, che dopo essersi confrontato dal vivo con il Boss suonando dal vivo due anni fa una cover di “I’m on fire”, ora si prepara ad aprire due show del rocker del New Jersey, giovedì sera al Parco Urbano G. Bassani di Ferrara e domenica sera al Circo Massimo di Roma (dove Springsteen tornerà ad esibirsi a distanza di sette anni dall’ultima volta). Chissà che il bagno di folla che lo attende non lo aiuti a superare una fase di depressione di una carriera partita fin troppo bene, con un album d’esordio, “Hypersonic missiles” del 2019, arrivato subito in testa alla classifica britannica (più di 300 mila copie vendute), prima che un vortice di dubbi e di riflessioni immobilizzasse la star britannica: “Sarebbe ipocrita da parte mia parlare di salute mentale e scrivere canzoni sul tema, se poi non mi prendo del tempo per curare la mia, di salute mentale - ha scritto lo scorso settembre Sam Fender in un post su Twitter che ha colto di sorpresa i fan, annullando alcuni show - mi sono trascurato per più di un anno e non ho affrontato cose che mi hanno turbato profondamente. È estenuante fingere di essere felice per il bene degli affari”.

Ricaricate le pile, ora il 29enne cantautore partito da North Shields, nel nord est dell’Inghilterra, inseguendo i suoi sogni di rock’n’roll, torna a correre. C’è un nuovo album nel cassetto. E poi oltre alle date come opening act di Bruce Springsteen c’è anche un tour tutto suo da portare avanti: in Italia dopo gli show del Boss a Ferrara e a Roma si esibirà martedì 23 maggio al Fabrique di Milano, poi andrà avanti per tutta l’estate, conquistando i palchi di alcuni dei più importanti festival europei. C’è un obiettivo da raggiungere: confermarsi come una delle voci più promettenti della sua generazione.



L’ultimo album, “Seventeen going under”, è uscito alla fine del 2021, un anno e mezzo fa. Tra recensioni entusiastiche e vendite tutto sommato soddisfacenti (non è stato un successo come il precedente “Hypersonic missiles”, ma nel Regno Unito ha venduto comunque 100 mila copie, conquistando di nuovo la vetta della classifica britannica e vincendo un Disco d’oro), ha permesso a Sam Fender di tenere accesi i riflettori su di sé: “Ho imparato a scrivere meglio canzoni. Older, not so wiser. A 20 anni scrivi canzoni pensando si sapere tutto, poi arrivi a 25 anni e capisci di non sapere un cazzo. Ho scritto 60 canzoni per questo album, una fottuta vagonata. Ma ho imparato a maneggiare meglio lo studio: in una canzone sono arrivato ad usare 160 tracce audio, suona come una canzone dei film di James Bond, ma parla del fatto che per risolvere tutto questo casino ci vorrà un sacco di tempo”, dice lui. “Sono più orgoglioso di questo disco che del primo. Lavorarci durante il lockdown l’ha reso un disco personale: normalmente scrivo sulle cose che vedo in giro, ma in questo caso eravamo chiusi in casa. Non è un disco sul lockdown, però. Credo che nessuno voglia più sentire canzoni sul Covid. È un disco sul crescere, sull’autostima, sul guardarsi dentro. C’è qualche accenno politico alla polarizzazione e alle disparità economiche, e cose più personali”, spiega.



Nonostante i suoi tentativi di allontanarsi progressivamente dai riferimenti degli esordi (eppure i pezzi, dall’omonimo singolo “Seventeen going under” a “Little bull of blithe”, hanno una forte matrice heartland rock e americana), l’etichetta di “erede di Bruce Springsteen” continua ad accompagnarlo: “Ho capito che non posso respingere il confronto. Ma allo stesso tempo non mi sento degno di quell’etichetta - prova a farsene una ragione lui - la prima volta che me l’hanno appiccicata addosso ho pensato: ‘È da folli’. Le mie canzoni sono diverse e la mia voce non suona per niente come quella di Springsteen: non ho il suo ruggito, quando canto sono una piccola fata”. Chissà come lo accoglieranno i fan del Boss.

Vuoi leggere di più su Sam Fender?

rockol.it

Rockol.com s.r.l. - P.IVA: 12954150152
© 2025 Riproduzione riservata. Rockol.com S.r.l.
Privacy policy

Rock Online Italia è una testata registrata presso il Tribunale di Milano: Aut. n° 33 del 22 gennaio 1996