“Credevo davvero che 'Bloodflowers' rappresentasse il capitolo finale della nostra storia insieme. Era il ricordo della band a cui mi sarebbe piaciuto tornare con la mente in futuro": questa la scioccante dichiarazione che apre l'intervista rilasciata da Robert Smith, frontman e anima dei Cure, al mensile Rockstar. L'artista ha raccontanto, mettendosi a nudo, la genesi del nuovo album, intitolato laconicamente "The Cure". "Nel 2002 ho incontrato il produttore Ross Robinson (già al lavoro con Korn e Slipknot)", continua l'artista, "il quale ha cominciato a suggerirci di lavorare a un altro album. Era un’opportunità che non avrei voluto rimpiangere però mi rifiutavo di far nascere le canzoni in maniera forzata. L’approccio era di immaginare che ci fossero voluti 25 anni per arrivare a questo risultato e non di avere 25 anni di album alle spalle da dover eguagliare". Dopo le sue recenti e fortunate apparizioni in vari festival estivi italiani, Smith ha colto anche l'occasione per sfatare il mito di artista perennemente tormentato: "Sono una persona tendenzialmente felice, ma non sento la necessità di scrivere della mia felicità (...) Sono fortemente attratto dalla malinconia, ma non voglio che mi si consideri una persona infelice nel senso convenzionale del termine. Non c’è nulla di questa vita che mi renda insoddisfatto, faccio tutto quello che sognavo di fare, non ho un capo, non ho orari, non mi devo alzare la mattina, la gente ama quello che faccio, sono benvenuto ovunque vada. I miei problemi esistenziali sono universali". La trascrizione completa dell'intervista a Robert Smith verrà pubblicata sul numero di Rockstar in edicola questo mese.
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