Mi pregio e mi vanto di essere stato, nell’ormai lontano 2008 e insieme a Riccardo Bertoncelli, l’iniziatore (in Italia) di un format poi diventato molto, anche troppo frequentato. “Avant Pop”, uscito per la BUR, era un libro meticcio e incoerente, fra la rievocazione delle canzoni di protesta del1968 e il racconto della musica internazionale che in quell’anno arrivava in Italia; ma la mia parte di quel libro sono quaranta “schede” di canzoni in classifica nel 1968, dove per “schede” si deve intendere storie e leggende, retroscena e aneddoti poco noti delle canzoni medesime – raccolti in testi molto lunghi, molto dettagliati, anzi (diciamolo) “esageratamente” lunghi e dettagliati. Il modello, lo confesso, era stato “31 canzoni” di Nick Hornby.
“Avant Pop” non fu un successo, in libreria, ma resta (e me ne pento e me ne dolgo) il capostipite di tutta una serie di pubblicazioniche, negli anni successivi, hanno dilagato nei cataloghi degli editori. Alcune sensate e ben riuscite, altre d’occasione, altre ancora rubacchiate da Wikipedia o assemblate a casaccio sotto un titolo vagamente accattivante. E no, non farò nomi né titoli.
Recentemente si sono visti sugli scaffali – e anche in questa rubrica sono stati segnalati – libri che allo schema della “raccolta di storie di canzoni” hanno sovrapposto un’attitudine critico-esegetica: sono opere pretenziose, spesso scritte da accademici che “si abbassano” ad esaminare la materia popolare della canzonetta e quasi per giustificarsi la trattano con una seriosità del tutto fuori luogo (e con un linguaggio illeggibile, da testo universitario). E’ il caso, per capirci, di “Canzoni – Francesco Guccini” di Gabriella Fenocchio”
A una prima e superficiale lettura, anche “Mitiche canzoni”, di cui sto per dirvi, sembrerebbe appartenere alla categoria appena descritta. Quel sottotitolo, “Nuove vie esoteriche per la critica musicale”, mi aveva allarmato non poco. Ma a farmi rizzare le orecchie è stato il sommario delle otto canzoni trattate: “E’ ancora giorno” di Adriano Pappalardo, “Piccola Katy” dei Pooh, “Vattene amore” di Minghi & Mietta... e così ho cominciato a leggere, traendone interesse e divertimento.
Perché l’autore, “laureato in lettere sull’esoterismo di Antonin Artaud”, tratta le canzoni non “come se” fossero importanti e significative, ma proprio come oggetto di analisi e di interpretazione colta, a dispetto della loro popolarità commerciale. In un certo senso, se mi passate la similitudine, è come se Vittorio Sgarbi analizzasse con gli strumenti critici della sua competenza di storico dell’arte i disegni di prima elementare di mio figlio Edoardo, scoprendovi elementi e spunti e connotazioni del tutto invisibili a un occhio non preparato a trovarceli.
E se è vero, come ebbe a dire Dario Fo nel 1977, che “purtroppo noi siamo abituati, delle canzoni, a non raccogliere mai il significato profondo... perché non ci rendiamo conto del significato delle parole”, allora le analisi di Levi sono rivelatrici e persino inquietanti: possibile, ci si domanda leggendo le pagine dedicate a “Un’estate italiana” di Gianna Nannini e Edoardo bennato, che quella canzone nasconda “l’archetipo di una arcana pulsazione spirituale”?
L’autore lo scrive come se ci credesse davvero: motivando, spiegando, argomentando. E per questo suo elegante e documentatissimo lavoro, il libro merita quattro stelle.
Se poi invece, come ho più volte sospettato leggendo, Marco Levi fosse un Umberto Eco contemporaneo, e sostanzialmente si fosse divertito a prenderci amabilmente per il culo, confezionando un pastiche pseudoscientifico “per vedere di nascosto l’effetto che fa”, allora le stelle diventerebbero cinque...
Franco Zanetti
PS Ma questo Marco Levi sarà mica lo stesso Marco Levi cantautore/umorista già transitato su La7 e alle Scimmie? Perché se così fosse, allora si spiegherebbero molte cose...