Ciò premesso, la performance comincia con un Bruce in assoluto stato di grazia e una E Street Band rodatissima da due anni on the road, compatta come non mai: si apre con una inevitabilmente ruffiana ma già classica cover di "London calling" e, prima della fine del secondo pezzo, "Badlands", la camicia di Bruce è già inzuppata.
La scaletta di 27 canzoni (per tre ore di durata), palesemente variata diverse volte "in corsa" dal Boss, è piuttosto rappresentativa del setlist "medio" dell'ultimo tour, con l’aggiunta di diverse chicche: su tutte "Good lovin'" dei Young Rascals, "Hard times (Come again no more)", classico folk di Stephen C. Foster del 1854 reso in versione quasi gospel, e “Trapped" di Jimmy Cliff (vecchia gemma del repertorio del Boss). Si noti che non mancano diversi brani sicuramente graditissimi ad uno springteeniano doc ma forse un po’ ostici per il pubblico di Hyde Park, quali le grandiose "Johnny 99", "Seeds" e "Youngstown". E Bruce lavora molto, molto duro per scaldare spettatori un po’ troppo fermi e poco salterini (in Italia o in Spagna alcune fasi di questo show avrebbero provocato lo staccarsi delle zolle del prato): raccoglie i soliti cartelli delle richieste di canzoni, invita sul palco Brian Fallon dei Gaslight Anthem per un duetto su "No surrender" e poi "duetta" anche con un bambino in "Waiting on a sunny day". E’ strepitosa la versione di "Racing in the streets", con Bruce che mostra una faccia così concentrata da fare impressione; e lì capisci perché è così amato: ci crede, ma senza strafare, senza farsi prendere da quella enfasi autoreferenziale che hanno alcuni colleghi di pari grado (eh, Bono?).
Ma non è fino al calare delle tenebre, che coincide con "Born to run" e una "Rosalita" da urlo con Bruce ballerino, che Hyde Park si sveglia e comincia a rivelarsi come un "vero" teatro del Boss. Da quel momento in poi non si ferma più nessuno, e tantomeno il padrone del palco: "Jungleland" è emozionante come sempre, una vera suite quasi sussurrata, "American Land" la solita festa, e ora di "Glory days" non c'è più una persona che non canti al punto che, quando si arriva a "Dancing in the dark", si ha la netta impressione che se non ci fosse un coprifuoco Springsteen e compagni potrebbero continuare per un'altra ora o due. E questo, dopo tutto, riassume il significato e il pregio più importanti di un concerto di Springsteen, riuscendo a redimere comunque la scelta di una venue forse non ideale per realizzare questo dvd quale documento ai posteri di uno dei tour migliori di una rock'n'roll band epica.
Merita decisamente una menzione l'aspetto tecnico del prodotto: la registrazione audio è assolutamente di prim'ordine al pari delle riprese, grazie ad una regia lineare, precisa, verrebbe da dire ‘invisibile’ per come si mimetizza per riportare al meglio l'evento anziché mettere in primo piano il regista, come capita in tanta videomusica contemporanea. E, se preferirete il blu-ray al DVD, allora sarà la prima volta che avrete Bruce nel salotto di casa vostra…
Rimangono due rimpianti; il primo sono le bonus tracks, una versione di "The river" registrata a Glastonbury e il video di "Wrecking ball", la canzone dedicata al Giant Stadium avviato alla demolizione. Ma insomma, con tutte le cover che ha suonato nell'ultimo tour, non si poteva pescare qualcos'altro?
E poi: Springsteen ha registrato film-concerti in quasi tutti i suoi luoghi preferiti: New York, Londra, Dublino, Barcellona. A quando un DVD registrato in Italia? (GS/PDT/GDC)