"Gli album stanno morendo. Le persone sono più interessate ai singoli. Ho deciso che quello che uscirà sarà il mio ultimo album. Poi comincerò a pubblicare solo canzoni". Sheryl Crow ha presentato così il suo undicesimo lavoro di studio, "Threads": 17 canzoni, di cui 12 inedite, 4 cover, una rilettura di un brano del suo primo disco. E una quantità impressionante di ospiti: ben 24, anche due o tre a brano: da Neil Young a Keith Richards, da James Taylor a St Vincent a Eric Clapton e Sting.
Di "morte dell'album" sentiamo parlare ormai da anni. Certo, c'è una generazione di ascoltatori e di artisti che vive di singole canzoni, non di raccolte omogenee - un meccanismo iniziato dal download e favorito sempre più delle dinamiche di fruizione delle piattaforme streaming. Ma riguarda soprattutto altri generi musicali. Non riguarda il rock: siamo ancora qua ad ascoltare album, continuano ad essere importanti, soprattutto per artisti "adulti" come Sheryl Crow. Sulla riuscita degli album - non solo in termini commerciali ma in termini di percezione artistica - si gioca ancora una buona parte dell'andamento delle carriere.
Però su una cosa ha fatto male i calcoli, Sheryl Crow: questo "Thread" sarà anche l'ultimo album, ma non suona come un album. Sembra una sorta di lunga playlist di singoli, più che come una raccolta omogeneo per suono e tematica.
In 17 canzoni, Sheryl Crow esce pure dalla sua "comfort zone": gioca con l'elettronica e con l'indie in "Wouldn't Want to Be Like You", con St. Vincent (coppia improbabile) e pure con il rap, in "Story of Everything", che vede la presenza di Chuck D,. mitigato dalla più tradizionale presenza di Gary Clark Jr. Ma il meglio è quando rimane nel suo territorio, più vicina al rock classico ("Tell Me When It’s Over", con Chris Stapleton, o la cover di "Everything Is Broken" di Dylan, con Jason Isbell) o al cantautorato: "The worst" con Keith Richards e "Flying Blind" con James Taylor. C'è pure un duetto postumo com Jonny Cash su "Redemption Day", che venne reincisa e poi pubblicata in "American VI: Ain't No Grave": ma il risultato, possiamo dirlo?, è un po "creepy"... Il resto vede diversi salti, pur rimanendo nel territorio tipico della cantante, tra il pop-rock e l'"americana", inteso come genere. Ma la presenza di due o tre ospiti a brano cambia radicalmente il risultato da un brano all'altro.
Il problema di "Threads" non è la qualità, ma la quantità: se è davvero l'ultimo album - ma si sospetta che sia una trovata pubblicitaria... -, allora ha fatto le cose in grande, anche troppo. Ci sono talmente portante, in questo pranzo, che alla fine fatichi a gustare le singole portate. "Threads" è un album di grande livello, ma dispersivo. dispersivo