"Country-soul": la definizione è loro, sta nelle loro biografie e sui loro social: come tutte le etichette è abbastanza generica per essere risconoscibile anche da chi non mastica la loro musica, o da chi non ha mai sentito parlare di Willy Vlautin. Ma è una definzione che funziona, e descrive in due parole le anime di questa band.
"The imperial" è terzo album dei Delines, band formata da Vlautin, appunto - già mente e voce dei Richmond Fontaine, che rimangono uno dei nomi più sottovalutati del rock americano degli ultimi vent'anni. Vlautin, nel frattempo, però, ha messo la parola fine alla storia della sua storica band (ritornata l'anno scorso esteporaneamente per un album strumentale - colonna sonora del suo ultimo romanzo "Dont't skip out on me", pubblicato anche in italiano). Ormai è più noto come scrittore che come autore musicale, ma qua sempre ritorna, e i Delines sono il suo progetto principale.
Quello che rende ancora più belle le canzoni e le storie di Vlautin è la grazia della voce di Amy Boone. Vlautin continua a raccontare storie di persone al margine della società, di gente che fa a pugni con la vita - immaginatevi un "Nebraska" raccontato da Raymond Carver - ma la voce della Boon aggiunge un calore e una compassione che la voce imperfetta e roca di Vlautin non aveva. E la struttura musicale rimane "Americana" - inteso come genere e non solo come ambito di provenienza, con un ulteriore calore aggiunto alla matrice country dall'uso delle tastiere elettriche e da qualche fiato qua e là. Soul bianco delle periferie americane.
E' un disco stupendo, "The imperial": di una bellezza struggente come la copertina, una macchina parcheggiata (o abbandonata) di fronte ad un hotel, quell "Imperial" dove nella stanza 315 due amanti si trovavano, prima che lui finisse in un casino giù al sud. O come la storia di "Eddie & Polly", due persone che si innamorano e si disamorano ("Fall in love" e "Fall out of love"), tre strofe per passare dall'ebbrezza, alle prime liti, alla rottura, quando la vita pressione della vita chiede il conto. Non c'è mai pietisimo, non c'è mai rabbia, in queste canzoni, solo il racconto e la musica come strumento per affrontare la vita, per provare a dare un senso alla quotidianità di chi vive nella "darkness on the edge of town".
"The imperial" è il primo, grande disco di questo 2019 - non serve altro se non un po' di tempo, un bicchiere di vino e un po' di luce soffusa, e possibilmente il libretto dei testi: canzoni da leggere come una raccolta di racconti.