Strano destino, quello di certi musicisti: vengono identificati con un luogo, ne diventano il simbolo sonoro, ma arrivano da altri posti, o lo disconoscono. E' sucesso agli Eagles (Don Henley è nato in Texas a Glen Frey in Michigan). Ed è successo a Jonathan Wilson: un nome, una garanzia sia da solista, sia da produttore (Father John Misty, Karen Elson tra le ultime cose). Il simbolo del revival del Laurel Canyon - peccato che sia nato in North Carolina, anche se la California è la sua base. “I paragoni con Neil Young, CSN, Dennis Wilson e Tom Petty sono lusinghieri, ma non mi sono mai visto in questo modo”, ha detto poco prima di pubblicare questo su terzo disco solista (quarto, se si conta un perduto album indipendente, "Frankie Ray", del 2007).
Eppure in Italia lo abbiamo visto per la prima volta di spalla a Tom Petty, nel 2012: "Gentle spirit" era uscito l'anno prima, e aveva fatto innamorare immediatamente gli appassionati. Qualcuno aveva tirato in ballo pure i Pink Floyd - e guarda caso Roger Waters lo ha voluto alla chitarra per "Is This The Life We Really Want?" e nel successivo tour.
L'adesivo sulla copertina di questo album - il primo da "Fanfare" del 2013 - promette "A powerful shockwave from the sun": è una frase da "Rare birds", che ne riserva un'altra ancora più ghiotta:
Falsetto folkies with pitchfork at your side, your tunes will be forgotten
Jonathan Wilson non vuole essere di moda. Ma le scosse arrivano eccome - forse non dal sole ma di sicuro dalla musica. Non c'è nessuna ricerca di contemporaneità, in questo disco - anche nei pezzi meno tradizionalmente psichedelici: "Over the midnight" ha un suono retro e anni '80 - potrebbe essere quasi una canzone dei War On Drugs. "Loving you" è pop-rock-entico, con la voce di Laraaji (uno dei pionieri della musica new age) che gorgheggia libera per 8 minuti: è la cosa più bella del disco.
Poi certo, c'è anche il country rock di "Hi Ho to Righteous", e diverse canzoni ricordano fin dai titolo quella California che a Wilson sembra stare comunque stretta: "Sunset boulevard" e "Mulholland drive". "Rare birds", la canzone, è Wilson al suo meglio: etereo, a tratti beatlesiano, acido e melodico.
Non c'è un momento debole nel disco: 80 minuti di grande musica, in cui Wilson conferma tutte le sue migliori qualità: una scrittura unica, una scelta per i suoni e per gli arrangiamenti senza pari, un gusto nell'andare a pescare i riferimenti musicali - tutte cose che ti fanno dimenticare la voce, da sempre non particolarmente potente.
Se vi piace il genere, "Rare birds" è un altro mezzo capolavoro. Non un disco per tutti, o destinato a scalare le classifiche. Ma musica di altissimo livello. Jonathan Wilson è uno dei migliori in circolazione: da produttore, tutto quello che tocca diventa oro, e riesce a fare lo stesso anche con la sua musica.