Due anni e mezzo sono la giusta distanza. Tanto è il tempo trascorso dalla pubblicazione del precedente album “Plain spoken”. Due anni e mezzo sono la giusta distanza non perché ci siano particolari regole che lo stabiliscano, ma perché lo ha deciso lui. John Mellencamp si è guadagnato da tempo l’autorevolezza per poter decidere da sé quando e cosa pubblicare. Dalle nostre parti ha raccolto la maggior parte dei suoi tifosi tra la metà degli anni ottanta e i primi novanta, poi il rocker, il ‘bastardello dell’Indiana’, come veniva chiamato, ha lasciato via via, con lo scorrere degli anni, spazio allo storyteller legato alle radici di quella terra chiamata America e l’appeal è calato di conseguenza. Questa sua evoluzione lo ha portato a perdere qualche manciata di fan in giro per il mondo, ma non ha intaccato più di tanto il rispetto e la stima che si era guadagnato all’interno dei patrii confini con gli album dei suoi ‘glory days’. Le sue uscite discografiche infatti, negli Stati Uniti, raggiungono tuttora, inesorabilmente, le prime venti posizioni nella classifica di vendita.
Ancora non sappiamo se anche “Sad clowns & hillbillies” riuscirà a raggiungere quel rispettabile traguardo, ma ne saremmo abbastanza stupiti non lo raggiungesse. Ne saremmo stupiti perché questo album – il 23esimo che pubblica in carriera l’ormai 65enne musicista originario di Seymour – è assolutamente all’altezza della sua fama e, dove “Plain spoken” vedeva Mellencamp agire – diciamo così - in ‘solitaria’, in questo nuovo disco la parola d’ordine è condivisione. In cinque canzoni viene affiancato al microfono dalla ‘figlioccia’ di Johnny Cash Carlene Carter (figlia di June Carter e del suo primo marito Carl Smith, divenuta nel 1968 June Carter Cash dopo il matrimonio con il ‘Man in Black’). In un altro brano, “Grandview”, il secondo (ottimo) singolo, duetta con la stella del country-pop Martina McBride e alla chitarra c’è l’ex Guns ‘N Roses Izzy Stradlin. Queste collaborazioni hanno il pregio di muovere lo scenario e donare ulteriore linfa alle più che discrete composizioni di mister Mellencamp che ha voluto includere nella tracklist anche le cover di “Mobile blue” di Mickey Newbury (1970) e “Early bird cafè” della Jerry Hahn Brotherhood (1971).
Mellencamp, per raccontare queste storie, maneggia con abilità il country così come il rock’n’roll. Le sue sono storie che difficilmente parlano dei massimi sistemi, ma che sono legate a filo doppio con la realtà del quotidiano con le sue difficoltà e le sue gioie. Perché questa è l’essenza del country e anche quella del rock’n’roll. Sono storie che possono essere buffe oppure – nel caso di “Sad clowns and hillbillies” – per lo più amare e tristanzuole. A supporto di queste storie, come ci ha bene abituato il nostro, non mancano le voci del violino e della fisarmonica. E non manca la sua inconfondibile voce che a volte si spinge nei territori di Dylan, altre in quelli di Waits. La canzone di Mellencamp rimane orgogliosamente la stessa e noi ne siamo soddisfatti, quella che si osserva fuori dai finestrini è sempre America.