Diciamolo subito: i dischi e le rielaborazioni orchestrali hanno rotto. Hanno una lunga storia, e sono un genere un po’ abusato. Spesso usare gli archi per reincidere o riproporre dal vivo belle canzoni, le rende stucchevoli. Soprattutto nel pop-rock - meno nel metal e nell’hard rock, dove pure si è abusato dell’espediente, anche se in altro modo.
Ma ecco un’eccezione che conferma la regola: se c’è un gruppo con cui le rielaborazioni orchestralo funzionano sono i Cranberries.
“Something else” è palesemente un’operazione ben architettata per risollevare una carriera in difficoltà: il percorso solista di Dolores O’ Riordan non è mai decollato, la reunion di qualche anno fa non ha dato i frutti sperati, e “Roses” del 2012 non se lo ricorda nessuno. Ecco allora un tour+disco con i successi, ma in versione diversa, per riallacciare il rapporto con il pubblico.
Non c’è nulla di male in questo, sia chiaro: basta che sia fatto bene. E in questo caso, almeno la parte discografica funziona alla perfezione. “Something else” contiene 13 brani, di cui 3 inediti: “The glory”, “Rupture” e “Why” sono piacevoli e in linea con la produzione del gruppo. Melodia semplice, testo non particolarmente profondo, voce stupenda e arrangiamento diretto, a cui si aggiungono appunto gli archi. Che in tutto il disco sono arrangiati bene, in maniera mai invadente, a sottolineare le melodie, ma a soverchiarle.L’operazione è naturale in canzoni come “Not my imagination” e “Linger” già molto melodiche e portate al trattamento. Ma anche in “Zombie”, gli archi si integrano con la chitarra acustica, dando un tono drammatico coerente con il brano, e una cosa simile capita con il pop più uptempo di “Free to decide”, dove gli archi intervengono invece a dare più leggerezza alla melodia.
Insomma: “Something else” è un disco piacevole, che propone un grande repertorio, in nuova versione, senza stravolgerlo, ma dandogli una buona rinfrescata. Un bel biglietto da visita per il tour in arrivo.