La carriera di Sheryl Crow, aveva preso una strana piega e ora si prova a recuperare la retta via. Gli ultimi tre dischi sono stati, nell'ordine: un album natalizio, un disco dedicato sound nero di Memphis, e uno dedicato al sound bianco di Nashville.
Ora torna a casa per la seconda volta, così il quart'ultimo disco "Detours" (2008) era prodotto da Bill Bottrell, questo "Be myself" vede in cabina di regia Jeff Trott e Tchad Blake. Insomma, dopo avere rispolverato il produttore del fortunato esordio "Tuesday night music club", ha rimesso in piedi il team del secondo e terzo disco, "Sheryl Crow" e "The globe sessions".
Se vi siete persi in queste traiettorie, non vi preoccupate: vi basti sapere che "Be myself" prova ad essere un disco "normale", non "di genere" come i precedenti. Sheryl Crow prova a fare la Sheryl Crow che ci ricordiamo, insomma, come si evince dal titolo: una collezione di canzoni rock molto melodiche e dritte, scritte bene e dal suono impeccabile: la chitarra di "Halfway there", la batteria e il groove di "Long way back", di "Roller skate" di "Be myself" (la canzone) ricordano i suoi singoli più fortunati degli anni '90, per fare qualche esempio. "If I can't be someone else, I might as well be myself", canta.
Già, ma siamo nel 2017. Chi è oggi Sheryl Crow? certo non quella di 20 anni fa, e anche il mondo è cambiato. Ha sempre mirato a fare musica che fosse fuori dal tempo pur essendo contemporanea. Ma il risultato oggi suona un po' leggero. Queste canzoni non hanno la profondità di un Ryan Adams, e non hanno neanche più il tiro per diventare delle hit.
Sono buone canzoni, questo sì. Produzione e scrittura e perfette, pure troppo. "Be yourself" nasce per reazione a dei dischi di genere, i precedenti, e finisce per diventare a sua volta il disco di un genere che oggi non c'è quasi più. Ciò che rimane è Sheryl Crow, però, non è poco: una brava cantante una brava autrice. Un disco piacevole, insomma, a cui non bisogna chiedere troppo.