Il fatto è che i Pet Shop boys sono fuori dal tempo e dalle mode: ccosì come nella loro musica si fonde l’alto e il basso, si confondono presente e passato. Negli anni ’80 era difficile dire se erano avanti rispetto ai propri tempi, oggi è difficile dire se suonano datati.
“Super” è contemporaneamente un ascolto familiare e spiazzante, in cui si fondono diverse ere della canzone pop e della musica elettronica. I synth un po’ tamarri dell’iniziale “Happiness” e di “Pazzo!” che ammiccano all’EDM, uniti alla dance anni ’90 di “The pop kids” (“Remember those days/The early 90s”). Madonna si fonde con i New Order, citati indirettamente in “Groovy” e “Burn”, (che sembrano uscite dritta dritta da “Technique”, l’album in cui gli eredi dei Joy Division rileggevano a modo loro il sound di Ibiza del tempo) e direttamente in “Pazzo!”, in cui alla fine, citano pure “Blue monday”, con il basso di Peter Hook trasformato in un synth odierno.
Prodotto da Stuart Price (Madonna, Killers, Seal, Kylie Minogue…), e ormai loro collaboratore fidato da qualche anno (l’EP “Christmas” del 2009, il live “Pandemonium”, un brano di “Elysium” ed “Electric” del 2013), “Super” è l’ennesimo di trattato sulla canzone pop elettronica, dove i “best bits” che vengono citati vengono presi un po’ ovunque: Madonna e New Order, dicevamo. Ma anche l'house, e l’elettronica classica, mondi e luoghi diversi: in “Sad robot world”, i robot di kraftwerkiana memoria perdono la freddezza tedesca per accogliere una malinconia che sembra arrivare dal “french touch” di Air e Daft Punk. L’Italia viene citata in “Pazzo!” (“Paninaro”, 30 anni dopo), e così via.
Funziona? Il fatto è che i Pet Shop Boys sono inattaccabili. Vivono in un modo tutto loro, e sono gli unici a sembrare di classe pure quando fanno i tamarri: e ci vuole del genio e grande esperienza, per arrivare a questi livelli. Bisogna essere “Super”, appunto.