Glen Hansard - DIDN'T HE RAMBLE - la recensione
Recensione del
18 set 2015 a cura di
Gianni Sibilla
Voto 7/10
C’è un momento pressoché perfetto, uno di quelli in cui tutto torna, in “Didn’t he ramble”, secondo disco solo di
Glen Hansard
. E’ “Lowly deserter”: la canzone sembra uscita dalle “Seeger sessions”, e Hansard riporta tutto a casa, in quei 3 minuti: il folk di violini e banjo, il “celtic soul”, i fiati. L’America e l’irlanda. Springsteen e Van Morrison. E la sua voce, potente, calda. Già ti immagini come diventerà dal vivo questa canzone. Il cerchio non solo si chiuderà, si riempirà pure. E di che colori, poi.
Hansard ha fatto una scelta precisa: dopo i Frames (resuscitati solo parzialmente con qualche concerto e
la raccolta “Longitude”
) , dopo gli Swell Season, la strada è quella di "
Rhythm and repose
”. Dischi a proprio nome, improntati in parte sul minimalismo, in parte su suoni caldi e acustici, e canzoni come “Winning streak”, che sembrano arrivare dal repertorio di Van The Man. E no, Hansard non sfigura al confronto. Davvero
.
Semmai spiace un po’ perché “Didn’t he ramble” non è la cosa migliore che ha fatto ultimamente - non tutti i momenti di questo disco, per quanto belli, sono perfetti come in “Lowly deserter”. La cosa migliore degli ultimi tempi di Glen, come pathos e suono, è lo stupendo EP “It was triumph we once proposed” uscito qualche mese fa, 5 cover elettriche dell’amico scomparso Jason Molina (Songs: Ohia). Tese come corde di violino, quasi fossero del miglior Neil Young.
Detto questo, “Didn’t he ramble” ci conferma quanto già sapevamo: Hansard scrive e canta da Dio. Non ci sono particolari sorprese, qua dentro: ormai Glen è una certezza, la sua penna è iper riconoscibile e se lo conosci, lo ami - non ci sono vie di mezzo. Quelle di “Didn’t he ramble” sono canzoni belle, ma che forse più di altre del suo repertorio, aspettano di essere trasfigurate dal vivo. E per fortuna, quel momento arriverà prestissimo.