Un musicista che non sta mai fermo, ma incredibilmente in versione solista ha pubblicato pochissimo: tre dischi in 22 anni: ”Ashes and dust” arriva a quattro anni da “Man in motion”, che a sua volta arrivava 18 anni dopo “Tales of ordinary madness”. Il lavoro, assemblato in compagnia dei Railroad Earth, include tanto brani di recente composizione quanto canzoni scritte nel corso di una vita.
Il disco infatti ha un approccio folk-rock e blues, in prevalenza acustico, che Haynes non pratica spesso altrove. Così le canzoni con questo stile sono state messe da parte e recuperate. Il risultato funziona eccome, e ricorda certe cose di John Mellencamp, soprattutto in brani come l’iniziale (“Is it me or you”) ma con uno spirito più “jam”, come da tradizione dei Mule, degli Almann e dei Dead. Diverse canzoni sforano i 6, 7 anche 8 minuti, come “Spots of Time”, scritta con Phil Lesh dei Grateful Dead, che infatti sfocia in una jam di violino e chitarra. C’è spazio per il blues di “Stranded in self pity”, e pure per una bella e personale rivisitazione di “Gold dust woman" dei Fleetwood Mac, con Grace Potter a fare ottimamente la parte di Stevie Nicks.
Insomma, Haynes è un fuoriclasse. Qualunque cosa tocca, con qualunque genere si confronta, vince. “Ashes and dust” ha pure il pregio di essere un disco più accessibile e diretto di certe cose dei Mule, quelle ostiche a chi non ama il jam-rock. Questo album invece è più dritto e cantautorale, ma sempre suonato e cantato da Dio. Amanti del rock americano, fatevi sotto