Nei paesi anglosassoni li chiamano “one trick pony”: sono i caratteristi, quelli che sanno fare una sola cosa, quelli che hanno un tratto distintivo forte, come certi animali che rispondono ad un solo comando.
l Best Coast , in realtà, di tricks ne hanno ben due. Il primo è mettere la California, ovunque: nei titoli, nelle atmosfere, nelle copertine, nei riferimenti. Il secondo è fare un genere di canzone preciso, e solo quello, a ripetizione: chitarre e melodie solari.
Il terzo disco del duo di Los Angeles non fa eccezione: guardate la copertina, leggete il titolo, e sentite “Heaven sent”, il primo singolo: un power-pop perfetto, con una progressione che richiama alla memoria le Go-Go’s, le Bangles, il jingle-jangle, e tutto quel mondo di canzoni sepolte dalle chitarre tra anni ’80 (Jesus & Mary Chain) e anni ’90 (lo shoegaze).
Il terzo disco del duo è una summa di quanto fatto finora: i muri di chitarre del primo album, e la pulizia sonora di “The only place”. Si sono lasciate alle spalle l’atteggiamento un po’ low-fi degli inizi, e le atmosfere più rarefatte del secondo album, con un parziale ritorno già segnato dall'EP "Fade away".
Il risultato? Nei 43 minuti e rotti del disco, sembra spesso di sentire la stessa canzone, in loop. Ma, contrariamente a quanto uno potrebbe pensare, è una bella sensazione. Perché, da bravi “One trick pony”, quel giochino Bethany Cosentino e Bobb Bruno lo sanno fare alla perfezione.
Quando escono un po’ da questi tracciati, va anche meglio: “California nights” è più lenta e psichedelica, con i suoi 5 minuti e passa: è il momento migliore dell’album, assieme a “Heaven sent”. Ma è solo una deviazione momentanea, perché già dalla successiva si ritorna allo schema precedente. Solo la finale “Wasted time” è minimale ed evocativa.
“California nights” è un disco piacevole, come solo certo pop al femminile sa essere: un ascolto perfetto per l’arrivo del caldo, sognando la California anche se vi trovate a prendere il sole sulla nuova Darsena di Milano, o in qualsiasi altro posto d’Italia.