Per non essere da meno e per sentirmi, per una volta, nel bel mezzo dell’azione andai immediatamente ad ascoltarmeli. Mi ascoltai “Hold on”, il loro primo singolo. Nulla da eccepire. E compresi perché laggiù in Texas non parlavano d’altro. L’amico rilanciava dicendomi che dal vivo rendono ancora meglio (ne avevo avuto il sospetto). Poi, ad aprile 2012, uscì ”Boys & girls” , il loro album di debutto. Mi piacquero molto anche sulla lunga distanza. Di dischi ne escono sul mercato a decine, il loro r’n’b venato di soul non ha tra i suoi tratti distintivi l’originalità. Esistono molte altre band o solisti di buona capacità che lo propongono ma loro avevano quel qualcosa di impalpabile e fondamentale che ti fa dire ‘scelgo questi’. Mi accadde, ad esempio, quando ascoltai per la prima volta ”Sigh no more” dei Mumford & Sons. Loro, chiaramente, non li accostai musicalmente alla band di Marcus Mumford ma mi ricordarono l’innocente e giovanile entusiasmo con il quale uscii dalla sala cinematografica dopo aver visto “The Commitments”, anni fa. Chiudo lo spazio ‘amarcord’ dicendo che “Boys & girls” non è caduto nel dimenticatoio e dalla sua uscita ad oggi ha trovato ancora spazio nei miei ascolti.
Mi approccio quindi a “Sound & color” con il timore di scoprire in qualche modo tradito quanto scritto nelle righe soprastanti. Dopo il primo ascolto tiro un sospiro liberatorio, nessun tradimento. L’album non tradisce l’attesa e i tre anni trascorsi dal precedente capitolo, con tutte le insidie che si nascondono quando si fa un salto molto in alto, passando dal più assoluto anonimato ad esibirsi per il presidente Obama, per fare un primo esempio, e, per farne un altro, passando per le partecipazioni alle colonne sonore di film premiati agli Oscar come "12 anni schiavo” di Steve McQueen", "Dallas Buyers Club" di Jean-Marc Vallée e "Il lato positivo" di David O. Russell, non hanno scalfito la genuinità dei ragazzi di Athens , in Alabama.
”Sound & color” è più vario e maturo del disco d’esordio, pur rimanendo sublime sintesi delle migliori sonorità bianche e nere che prendono forma in quel luogo magico che è il sud degli Stati Uniti. Sintetizzato al meglio dalle origini della leader Brittany Howard, figlia di madre bianca e padre nero.
L’opera seconda degli Alabama Shakes si compone di dodici brani che, nonostante i cambi di registro, mantengono buona uniformità e, caratteristica che appartiene solo ai lavori di un certo livello, solo un paio di episodi risultano pagare dazio nei confronti degli altri. Lo standard è veramente di livello superiore. A partire dal delicato soul suadente di “Sound & color” che apre le danze e non si fa mancare nulla, neppure una sezione di archi. Passando per la più urbana "Don't wanna fight", il primo singolo del disco, che potrebbe essere farina del sacco dei Black Keys solo avessero a disposizione il gran tono della vocalist. In “Gimme all your love”, dopo un paio di minuti di approccio, esplode una irresistibile session che dal vivo potrebbe dilatarsi a dismisura. Nel repertorio live è già entrata “Miss you” che supporta la tesi di quanti rimandano (per quanto possa essere antipatico) a Janis Joplin il paragone più prossimo per la cantante. “This feeling” è acustica quanto basta per assaporarne tutte le sfumature. “Guess who” e “The greatest”, tanto diverse quanto convincenti. E’ musica calda che punta senza mezze misure dalle parti del cuore per scendere giù fino agli arti inferiori. Difficile mantenersene fuori. Musica che fa dell’empatia un gran punto di forza.
Il disco è stato registrato presso il Sound Emporium Studio di Nashville (una città che è un marchio di fabbrica per la buona musica) e gli stessi componenti della band hanno prodotto l’album insieme al 28enne californiano Blake Mills, già alle prese con la produzione dell’ep “Ghost” di Sky Ferreira.
E’ fuori di dubbio che avere al servizio una voce come quella di Brittany Howard è di grande aiuto alla causa, ma sarebbe molto riduttivo fermarsi a quello. Gli Alabama Shakes sono giovani, molto bravi e in ascesa. Sentiremo ancora parlare di loro, ora, dopo il secondo album, non vi sono dubbi, è cosa certa. La recensione di Rockol del disco di esordio, tre anni fa giusti giusti, si chiudeva con queste parole:” L’esordio è eccellente, “Boys & girls” è soprattutto una promessa. Riuscire a mantenerla sarebbe super.” La promessa è stata mantenuta, il disco è super.