Michele Bitossi ha un tatuaggio con una Rickenbacker, cita le chitarre Gretsch nei suoi testi, dove scrive frasi come “Mi scaldi come il riff di Jumpin’ Jack flash/e te la ghigni proprio Keith Richards”. Basterebbe già questo a renderlo simpatico. Ma non è questo il punto. Lui e i
“Dio c’è” - il titolo ammicca alla frase che si leggeva in giro anni fa quando uno spacciatore voleva segnalare la sua presenza in zona - è la dimostrazione di questo amore. Pieno di citazioni, pieno di ironia, pieno di buona musica e buone melodie. Questo fanno, i Numero6: niente di più, niente di meno che dell’ottimo pop-rock. Si sbattono, si divertono - guardate i loro video. Ma non pensano di fare niente di diverso, non se la menano. Sentendo le loro canzoni non hai mai la sensazione di quell'atteggiamento da "geni incompresi" che è spesso alla base di certo indie italiano - musicisti o ascoltatori che siano.
Prendete “Storia precaria”: cita i rapper, i deejay, radio deejay, i Club Dogo, Marracash (che fa rima con i flash delle foto), Fabri Fibra e Jay Z ma anche il Leroy Merlin. Una bonaria presa per i fondelli delle ansie da musicista (“Amore mio cercavo solo di portarti via da quell’infame seminterrato di periferia”, ma per fare questo oggi bisognerebbe essere un rapper...). Il tutto su una melodia aperta, che diventa ancora più aperta nella lunga coda strumentale quasi elettronica.
Ci sono riferimenti precisi nella musica dei Numero6: la Rickenbacker non è solo tatutata ma il suo eco si sente in “Scappo via” e soprattutto nella remmiana “Crash” (che è la canzone dove viene citata la Gretsch). In alcune canzoni c’è un po’ più di rock, come in “Fa ridere”, ma mai senza perdere il gusto per la melodia e per i testi esistenzial-ironici. Insomma: un disco consigliato, una boccata d’aria fresca, leggera ma mai superficiale.