Alessandro Fiori è uno che di mestiere canta. Anzi, Alessandro Fiori è uno che di mestiere scrive canzoni e poi le canta. Cantautore quindi, facile. Prima lo faceva con i Mariposa, ma da qualche tempo si è messo in proprio. Un poeta è uno che di mestiere scrive poesie, e poi le declama. Forse, mica detto. Dipende. Un cantautore che scrive poesie è merce più unica che rara, specialmente se le poesie che scrive sanno anche essere belle canzoni. Un cantautore che scrive poesie è un Alessandro Fiori.
Ho scelto di iniziare la recensione del nuovo album di Fiori, “Questo dolce museo”, mettendone in risalto una parte, l’incipit di “Giornata d’inverno”, perché mi sembrava rappresentasse alla perfezione il “tutto”. Se di poesia dobbiamo parlare, tanto vale giocare secondo le regole. Un tutto che nello specifico conta la bellezza di undici pezzi; undici episodi che messi uno dopo l’altro, riescono a raccontare una storia. Che poi questa storia sia, nello specifico, la vita di Alessandro Fiori, o la mia, o magari la vostra, poco importa. Più una storia è personale, più sa essere universale. Quello che importa invece, è come una storia viene raccontata. “Questo dolce museo” è una raccolta di momenti di vita, emozioni, sentimenti, riportati con tale garbo e maestria da sembrare quasi vivi. Confessioni d’amore (“Mi hai amato soltanto”), scorci amari di un passato magari non troppo lontano (“Sandro Neri”), odi ai piccoli piaceri della vita (“Il gusto di dormire in diagonale”, uno dei pezzi migliori del disco); l’immagine di una strada di paese dove i funghi vengono messi a prendere il sole in una fredda domenica d’inverno…
Mettere in piedi un disco di poesie mantenendo intatto il delicato equilibrio tra parole e musica non è per niente facile. Ci riusciva molto bene Fabrizio De André ; è una delle qualità più meravigliose di Battiato , se non quella più straordinaria in assoluto. In “Questo dolce museo” Fiori prende un po’ da tutti e due, mischiando egregiamente delicatezza lirica ad inventiva musicale; poesia a sintetizzatori. I pezzi che scaturiscono da questo incontro sono composizioni minimali, ridotte all’osso, eppure perfettamente in grado di trasmettere immagini vivide nella mente di chi ascolta, attraverso un processo d’immedesimazione che per la verità, potrebbe non essere così immediato. Da che mondo è mondo però, la poesia è materia che va digerita con una certa pazienza. E “Questo dolce museo”, anche solo per la sincerità cristallina con cui Fiori si pone nei confronti di noi che il disco lo stiamo ascoltando, merita tutta la santa pazienza di cui possiamo armarci. Abbiamo dedicato ad Alessandro uno spazio importante sulla nostra rubrica The Observer (benché non propriamente un emergente), perché con questo lavoro si è davvero guadagnato tutta la nostra ammirazione. Se non esistesse Fiori, riuscireste a immaginarlo?