E poi, come se nulla fosse, te ne escono con un concept–album come questo “Undun” che, se possibile, sposta l’asticella ancora più in alto. Il concept è questo: raccontare la vita di Redford Stephens, personaggio immaginario dalla vita violenta nei quartieri neri americani, e attraverso la sua storia raccontare uno spaccato di vita americana. E poi ci sono altre sfide: offrire un disco più coeso dei precedenti.
Ma, concept a parte, “Undun” è semplicemente una grande raccolta di canzoni. Che ha tutto quello che ha reso grandi i Roots: ovvero le radici hip-hop (ancora ben evidenti nel grande numero di “featuring”, oltre che nelle basi musicali), la loro rivisitazione tra r ‘n’ b classico, rock, e chi più ne ha più ne metta. Esempi perfetti ne sono brani come “Lighthouse” o “I remember”, con ritmi e strumentazioni vari che si intersecano.
Perché arriveranno pure dall’hip-hop, dai suoni campionati e sintetici. Ma suonano, oh se suonano. i Roots. Hanno un piglio e un tiro che molte rock band si sognano da lontano. E le tracce di questo CD (a parte i "movimenti" strumentali finali, utili al concept album, inutili musicalmente), lo dimostrano in pieno.
"Undun" forse non è il disco più diretto della band, magari non è neanche il disco migliore, ma è un altro piccolo gioiello di questa enorme band.