Ma se c’è uno che può permettersi un’operazione del genere è Willy Vlautin, che non è solo il leader e autore dei Richmond Fontaine , è un affermato scrittore (il suo primo romanzo, “The motel life”, è appena diventato un film con Dakota Fanning, Stephen Dorff e Kris Kristofferson). E “The high country” non è un concept album, ma una sorta di romanzo in musica.
E’ uguale e diverso dal suo predecessore, quel “We used to think the freeway sounded like a river”, uno dei migliori dischi di rock americano degli ultimi anni, sulla scia di band come Wilco e Calexico . "The high country" è uguale nella scrittura delle canzoni, nel suono che va dal rock di “Lost in the trees” alle ballate acustiche (“The mechanic’s life), piccoli grandi gioielli cantati dalla voce sofferta ed espressiva di Vlautin. Ed è diverso nella struttura: per raccontare la storia dei due personaggi, la band ha scelto una strada per certi versi non facile: oltre alla voce di Vlautin c’è una voce femminile, ci sono intermezzi strumentali, dialoghi parlati. Che rendono “The high country” un disco meno tradizionale, ma più coeso nel raccontare la storia.
La storia è di quelle che Vlautin sa raccontare benissimo: due “loser” - un meccanico e una commessa di un negozio di ricambi per auto - che attraverso un amore tormentato provano a trovare redenzione in una terra difficile, quella dei boschi dell’Oregon - lo stato della band; una terra piena di personaggi surreali e particolari.
Il risultato è un disco complesso, che si può godere semplicemente per le belle canzoni (su tutte “The chainsaw sea”) o come un racconto più organico. E’ un disco che richiede attenzione, pazienza, come un buon libro da leggere alla sera; un disco che conferma i Richmond Fontaine non solo come una delle migliori rockband in circolazione, ma anche Vlautin come una delle migliori penne rock degli ultimi anni.