Daniele Luppi - ROME - la recensione

Recensione del 11 mag 2011 a cura di Gianni Sibilla

Voto 9/10
Diciamolo, dai nostri occhi provinciali, fa un certo effetto – e un gran piacere – vedere un nostro connazionale fare un disco con uno dei migliori produttori in circolazione e collaborare con cantanti veramente famosi; ricevere tutta questa attenzione; soprattutto vedere che il disco che si è meritato tutto questo è italiano fino al midollo, ma non di quell’italianità neomelodica che sembra l’unica cosa che gli anglosassoni vogliono sentire da noi. Noi italiani abbiamo davvero uno strano rapporto con i paesi anglosassoni, musicalmente parlando. I nostri musicisti, prima o poi, ci provano a sbarcare da quelle parti. Salvo rare eccezioni, quando suonano all’estero lo fanno per i nostri connazionali là residenti, e poi fanno mandare comunicati stampa trionfali dai nostri uffici stampa.

Invece Daniele Luppi è uno che ha fatto silenziosamente gavetta all’estero , si è fatto conoscere poco a poco, collaborando con nomi importanti, fino a questo disco.
Che, fin dal titolo, è un omaggio al cinema italiano, a Cinecittà e alle sue colonne sonore. Una passione comune, quella tra Luppi e Danger Mouse , nata ai tempi della loro collaborazione al disco dei Gnarls Barkley . Una passione sviscerata in maniera filologica, in queste 15 tracce, incise nella Capitale in una sola settimana, con una band che suonava in presa diretta dietro pannelli fonoassorbenti, per dare corpo ai suoni.
Se non fosse per alcuni dettagli, “Rome” potrebbe essere scambiato tranquillamente per un disco d’altri tempi, uno di quelli che trovi nelle bancarelle dell’antiquariato. Ma sono quei dettagli a fare la differenza, a rendere “Rome” un disco da ascoltare – a prescindere dal nostro orgoglio di italiani. Il primo dettaglio è il lavoro di Danger Mouse, che si inserisce sui bellissimi arrangiamenti di Luppi. Si capisce che questo è un disco moderno dalla ritmica, dall’uso del basso su “Season’s trees” e “Roman blue”, dalla batteria su “Black”, tanto per fare alcuni esempi. Dettagli che dettagli non sono, e danno spessore e profondità al suono, portandolo oltre verso gli archi e i cori tipici dello Spaghetti Western.

E poi ci sono le voci, di Jack White di Norah Jones. Perfette, con le loro tonalità vintage – soprattutto quello “sporca” e poco pulita di White. Ci sono davvero piccoli gioielli, nelle canzoni-canzoni di questo disco, come la “Black” cantata da Norah Jones o la “Two against one” cantata da Jack White, che sopperisce con la bella interpretazione ai suoi limiti vocali. Canzoni che rendono più vario il disco, che poteva tranquillamente essere tutto strumentale, ma che con l’ausilio delle parti cantate è più vario, completo e anche più piacevole.
Insomma, davvero un bel disco, al di là di tutto: da ascoltare se vi piacciono gli artisti coinvolti, per curiosità o se vi piacciono le sonorità vintage.

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