Arrivano da Seattle, i Posies. E già negli anni ’90 facevano questa musica fatta di melodie e armonie, di chitarre arpeggiate, mentre il resto della loro città era impegnata ad essere nichilista, ad indossare camicie di flanella e a rivisitare i Led Zep. Lo hanno supportato in modi diversi, questo genere: per esempio prestando Ken Stringfellow e John Auer alla reunion dei Big Star, che sono stati i padrini del power pop fino alla morte improvvisa di Alex Chilton . E ora tornano a fare musica per conto proprio, a cinque anni dall’ultimo disco di studio, “Every kind of light”, che arriva dopo una lunga pausa.
Le note di copertina dicono che volevano fare qualcosa di diverso, questa volta. Ma tutto cambia per non cambiare, perché sembra di tornare ai tempi di “Frosting on the beater”, il loro capolavoro del ’93, che recentemente hanno riproposto per intero in concerto. Non so davvero cosa ci sia di “alternativo” nel loro sound, forse il fatto che non incidono più per una major come ai tempi. C’è solo del buon rock-pop, con la voce piacevole di Stringfellow (e capisci perché i R.E.M. l’hanno usato come sesto uomo per buona parte del decennio), un suono che pesca dai Beatles, dai Beach Boys, battendo quelle strade semplici e melodiche che tanti alternativi odierni schifano. Le canzoni che funzionano meglio sono quelle come “The glitter prize” o “Notion 99”. Ma tutto il disco, alla fine, funziona e scorre via che è una meraviglia. Imparate, giovani band: la semplicità è qualcosa che andrebbe cercata di più, in musica.