Tired Pony - THE PLACE WE RAN FROM - la recensione

Recensione del 20 lug 2010 a cura di Gianni Sibilla

Uno strano alone circonda gli Snow Patrol . C’è chi rimpiange i loro trascorsi “indie”, accusandoli di essersi svenduti alle masse negli ultimi anni, inseguendo un suono troppo epico ed emulo di U2 e Coldplay. Poi c’è chi ricorda che sono state una della band rock più vendute del decennio, e che comunque le canzoni le sanno scrivere, eccome.

I Tired Pony sono la creazione di Gary Lightbody, frontman della band irlandese, sorta di “supergruppo” messo assieme a Peter Buck dei R.E.M , Scott McCaughey dei Minus 5 e da Richard Colburn dei Belle & Sebastian . E sono la dimostrazione che, checché se ne dica, questo qua sa scrivere e cantare ottime canzoni. L’impostazione del progetto è decisamente più sottotraccia al lavoro degli Snow Patrol: “The place we ran from” è sostanzialmente un disco di rock acustico, con canzoni spogliate da troppi orpelli, che però conservano in alcuni momenti il piglio epico. Un blogger che stimo mi diceva che il rischio di questo album è di essere troppo "Gary Lightbody alle prese con il canzoniere americano". Forse, effettivamente, l'album in alcuni momenti è un po' didascalico, ma il motivo sta più nella mano di Buck e del suo sodale McCaughey nell’arrangiare le canzoni: la cricca del chitarrista dei R.E.M. tende a suonare sempre un po' allo stesso modo, in questi progetti paralleli. Però, da queste parti si sente una rilassatezza, un divertirsi che spesso non c’è nei dischi delle band che hanno qualche anno di strada alle spalle.
Se invece non ve n’è mai fregato niente degli Snow Patrol, non fate caso a tutto ciò che si è fin qua detto: “The place we ran from” è un ottimo disco di “Alt.country”, sulla scia della famiglia Wilco , con pezzi più decisamente country come “Landslide”, e altri più decisamente “Alt”, come “Get me on the road”, in cui compare l’attrice/cantante Zooey Deschanel (già con M Ward impegnata nel progetto She and Him )o “The good book”, cantata da Tom Smith degli Editors. . I veri gioielli del disco, però, sono i pezzi “in crescendo”, come la finale e psichedelica “Pieces”, o la ballatona “Held in the arms of your words”.
Alla fine, “The place we ran from”, è solo – si fa per dire – un bel disco, fatto incidentalmente da musicisti che con le loro band originarie fanno tutt’altro.

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