Jakob Dylan si porterà sempre appresso la benedizione/maledizione di quel cognome che di più ingombranti non ce n'è, nella musica, e adesso non può più neanche nascondersi dietro i Wallflowers , che non pubblicano dischi nuovi da 5 anni, anche se qualche segno di vita l'hanno dato, ultimamente. Però questa volta ha davvero fatto centro: questo album è il secondo lavoro da solista, ed è decisamente più a fuoco del precedente, “Seeing things" , dignitoso e scarno lavoro prodotto da Rick Rubin.
Qua c'è un altro grande produttore che ci mette lo zampino, T-Bone Burnett, che lavorò al maggior successo dei Wallflowers, quel capolavoro che risponde al nome di "Bringin' down the horse". E ci sono un sacco di ospiti (si fa per dire, perché non è che facciano capolino in una canzone, ma sono lì, dietro le quinte in quasi tutto il disco): Neko Case , i New Pornographers , ovvero nomi riconosciuti del nuovo tradizionalismo indipendente.
Il risultato è un vero gioiello: nei suoni che sì, sono country, ma tutt'altro che banali: ballate delicate, e stratificate, con suoni ricercati, in cui si sente la mano di Burnett. A partire dall'iniziale "Nothing but the whole wide world" in poi, è un bel caleidoscopio di sonorità vintage, che aiutano una scrittura eccellente. Che Dylan jr. sappia scrivere grandi canzoni non è una novità, e qua lo dimostrano "Everybody's hurting" e "Truth for a truth". La novità è invece che Jakob abbia trovato una perfetta terza via tra il rock radiofonico dei Wallflowers e il cantautorato minimale e paterno del primo disco.