Taylor Swift - FEARLESS - la recensione

Recensione del 01 feb 2010 a cura di Gianni Sibilla

Ci sono generi musicali che noi italiani facciamo fatica a capire. Certa musica black - l“urban” e l’hip-hop - e il country su tutti: da noi funzionano solo quando si avvicinano al pop, fino a nascondere le loro caratteristiche iniziali.

Potrà sembrare strano, allora, che questo “Fearless” abbia ottenuto questa notte il Grammy come “Album dell’anno”, e non era mai successo per un’artista così giovane. Taylor Swift ha appena vent’anni, la faccia pulita dell’America di provincia, ma ha già una sequela di record da fare impressione. Persino MTV, tradizionalmente restia verso questo genere di musica, ha dovuto renderle tributo premiandola agli MTV Video Music Awards (ricordate? Quando Kanye West le rubò il microfono per dire che il premio di miglior video spettava a Beyoncé , l’altra donna regina dei Grammy).
Ascoltato con le orecchie di un non-americano, “Fearless” è un disco di una semplicità assoluta. I toni country ci sono, ma non ricordano il country becero da stereotipo. E’ piuttosto un disco con molte chitarre acustiche, qualche violino sparso qua e là, con un’interpretazione melodica e leggermente “strascicata” tipica del suono moderno di Nashville e dintorni. Per intenderci, ricorda vagamente il lavoro delle Dixie Chicks , che però hanno dalla loro parte una maggiore profondità data dalle armonie vocali (e anche dalla recente produzione di Rick Rubin).
E’ proprio la semplicità la chiave del successo di questo album: a livello d’immagine, a quello musicale e quello a livello lirico. La Swift canta di cose semplici: primi baci (“Fifteen”), principi azzurri su cavalli bianchi che non esistono nella realtà (“White horse”) e così via. Il modello della cantante è dichiaratamente Shania Twain , e magari arriverà anche lei un giorno alle derive pop della sua mentore canadese.
Per il momento, rimane un’artista pulita, molto pulita senza sembrare troppo patinata o – al contrario – iperprodotta come come molta della musica che gira intorno. Un modello che probabilmente neanche la vittoria ai Grammy riuscirà a imporre dalle nostre parti.

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