Paul Weller - JUST A DREAM - la recensione

Recensione del 10 lug 2009 a cura di Alfredo Marziano

E’ vero, sta esagerando (ma non sarà solo colpa sua). In dodici mesi, oltre a questo dvd+cd, ha sfornato un disco denso e torrenziale di durata equivalente a quella di un doppio Lp (“22 dreams”), un quadruplo box di BBC Sessions radiofoniche e un’antologia di esibizioni televisive sempre per la Beeb. Non bastasse, minaccia già
un nuovo album prima di dire addio al 2009. Che gli ha preso, a Paul Weller ? E’ che, prima della morte del padre avvenuta il mese scorso, si trovava in fase decisamente “up” (fin troppo, ricordate la notte brava a Praga impietosamente ripresa dai tabloid inglesi e da YouTube?), e l’attraversamento del guado dei 50 anni gli ha messo addosso un’adrenalina che la metà basta. Poi ci sono i calcoli di marketing della casa discografica, lesta a lucrare sugli ottimi esiti commerciali di “22 dreams”, finito al numero uno in Inghilterra. Ed ecco allora un documento video (ancora BBC Session) e “live” del disco, in compagnia della nuova band. I welleriani d’ala conservatrice non hanno preso bene il licenziamento del bassista Damon Minchella e (soprattutto) del batterista Steve White, compagno di una vita. Ma qui, bisogna ammettere, i giovani sostituti si dannano l’anima per meritarsi il posto (tutti cantano, batterista e tastierista suonano anche la chitarra), e poi c’è sempre Steve Cradock, gran stilista della sei corde, a garantire continuità col suono del recente passato. E’ una sfavillante performance in versione deluxe, questa, con una sezione fiati maschile e una sezione d’archi femminile, schitarrate mod-psichedeliche (“Peacock suit”, “22 dreams”, “From the floorboards up”, “Echoes round the sun”, “Push it along”), sontuose ballate da Brill Building come “Invisible” e scintillanti bagliori folk come “All on a misty morning”. Dà man forte un drappello di amici di “22 dreams” e altre avventure: Barrie Cadogan alias Little Barrie, Gem Archer degli
Oasis , Graham Coxon ed Eliza Carthy, discendendente della più nobile dinastia del folk inglese: il suo violino raspa e scuote una ammaliante versione dub e zingaresca di “Wild wood”, a riprova che Weller ama anche reinventarsi. E ricordarsi del passato, in questo caso gli anni giovanili con i Jam. Il pezzo più emozionante del concerto è “The butterfly collector”, stupenda ballata introspettiva. Il più testosteronico “Eton rifles”, cartolina dai tempi delle barricate: portentoso che trent’anni dopo Weller sia bellicoso come allora. Completano il ricco banchetto cinque estratti dalle prove, due promo clip, interviste (senza sottotitoli: sta diventando una brutta abitudine) e un cd bonus con una rauca esibizione alla Brixton Academy registrata lo scorso mese di novembre.

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