Questo pazzo personaggio, negli anni scorsi, si è rovinato l'immagine pubblicando musica in maniera quasi indiscriminata, arrivando anche a tre album in un anno. Adesso sembra avere rimesso la testa un po' a posto: dopo “Easy tiger”, a ben 15 mesi di distanza esce “Cardinology”. In mezzo c'è stato solo un EP. Insomma, forse si è dato una regolata.
Ed è un bene: perché quando vuole, Ryan Adams sa anche sopperire al suo difetto maggiore: la messa a fuoco . E' una macchina, scrive molto e bene, ma pecca di mancanza di ludicità. “Cardinology”, invece, è un disco lucido: nel senso che ha una sua identità ben precisa, portata avanti sia nel suono che nella scrittura. Fin dal titolo - che ammicca al suo gruppo attuale, i Cardinals - “Cardinology” si presenta come un disco da band. E' meno rock di “Cold roses”, ultima prova con i Cardinals e perfetto esempio di mancanza di lucidità: un doppio album che se fosse stato singolo sarebbe stato perfetto.
Invece “Cardinology” è più folk-rock, che è quello che Adams sa fare meglio. Non mancano le schitarrarate piacione, come “Magick”, ma dominano i mid-tempoo e le belle ballate come “Fix it”, tanto per capirci.
Insomma, siamo lontani dal suo capolavoro, “Gold”, ma non tantissimo: “Cardinology” ci restituisce uno dei talenti grezzi più belli degli ultimi anni, e ce le restituisce sgrezzato, come ci si aspetta da uno che ormai ha diversi anni e molti (troppi) album alle sue spalle. Sperando che non si perda nuovamente per strada.