“To survive” è un disco ancora più minimale, intimo ed intimista del bellissimo “Real life”, che rivelava le origini “indie-rock” della sua autrice, magari non nei suoni ma nell'atteggiamento. Invece “To survive” è un disco che solo per qualche strano caso esce a giugno: sarebbe perfetto per qualche serata autunnale di fronte ad un camino. Ma va bene lo stesso: Joan Wasser ha definitivamente abbandonato le chitarre dei primi singoli – già in secondo piano in “Real life” - a favore di ballate scritte al piano, e abbellite con pochi orpelli: qualche arco (come in “To be lonely”) o qualche fiato. Ballate semplici eppure profonde ed intense, che più che al rock sembrano rifarsi all' R'n'b, o che tradiscono origini popolari come la conclusiva “To America”, non solo cantata ma anche ispirata da Rufus Wainwright, vecchio compagno di musica della Wasserman.
“To survive” è il disco che PJ Harvey non è riuscita a fare: con l'ultimo “White chalk” aveva provato a scarnificare la sua musica, offrendo alla fine solo dei bozzetti, più che delle canzoni. “To survive” invece consacra una grande scrittrice ed interprete: per niente facile e consolatoria, per niente “pop”, ma non per questo va ignorata, anzi.