Ci sono invece canzoni-canzoni, con la consueta valanga di idee. Ma c’è anche una maturità musicale sempre maggiore, una voglia di mettere più a fuoco tutto, dall’uso della voce (che migliora di volta in volta) ai temi da affrontare (sempre meno apertamente politici, ma come dicevano negli anni ‘70, il privato è politico; allora questo disco è fortemente politico, come solo sa esserlo Lorenzo).
E’ forse il disco più da cantautore di Lorenzo, che ha saputo non perdere quell’incanto di fronte al mondo e quella naiveté del ragazzo fortunato, ma ha saputo trasformare questa visione delle cose in quadretti consapevoli come “Fango” (che riprende il discorso là dove “Mi fido di te” lo aveva lasciato), “A te”, “Come musica”, “Innamorato” tanto per citare le canzoni più romantiche. Anche quando Lorenzo gioca di più con il suo primo amore, il ritmo, lo fa in un modo nuovo. Brani come “Dove ho visto te” e “In orbita” sembrano mettere il ritmo al servizio della canzone, e non viceversa: l’esempio migliore ne è la conclusiva “Mani libere 2008”, duetto capolavoro con Michael Franti. E poi c’è il rock, che Lorenzo ha spesso frequentato, ma con discontinuità: la title-track, con un intervento vocale di Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, che rende il favore a Lorenzo, dopo la sua comparsata in “La finestra”; ma anche “Mezzogiorno”.
La sensazione che lascia questo viaggio è di una continuità, di essere portati per mano da un luogo musicale all’altro tenendo sempre a mente la coerenza delle tappe. Insomma: Lorenzo sembra avere trovato la quadratura del cerchio, la fusione ideale tra un sano nomadismo esplorativo e un viaggio che non è organizzato ma insomma, quasi. Dice lo stereotipo che un viaggio vero dovrebbe essere esplorazione pura, improvvisazione, lasciarsi travolgere da quello che vedi. Per una volta, è bello salire su un torpedone (musicale) e lasciarsi guidare.