Marlene Kuntz - UNO - la recensione

Recensione del 18 set 2007 a cura di Gianni Sibilla

Sono pochi gli artisti, soprattutto in Italia, che si allontanano da una formula di successo. Sono pochi gli artisti che riescono davvero a crescere senza paura di perdere pubblico. Dalla formula degli esordi, quella che li ha consacrati come una delle due band di punta del rock italiano insieme agli Afterhours, i Marlene Kuntz si stanno progressivamente allontanando da tempo. “Uno” è ancora più deciso su questa strada, dopo “Bianco sporco” e dopo il live “S-Low”. Ma non spaventatevi: i Marlene ci regalano un altro piccolo grande capolavoro.

“Uno” è un disco in cui le chitarre, peraltro, ci sono. Ma si accompagnano ad uno spettro sonoro che la band cuneese non ha mai avuto: piano, archi, cori, chitarre acustiche. Il tutto unito in un impasto originale, spesso inaspettato. Ecco: “Uno” è un disco per molti versi sorpredente – e non dubitiamo che lo sarà per molti fan, quelli ancora troppo legati a brani come “Sonica” e che avevano già mal digerito le ultime mosse. E' un disco che più che i Sonic Youth sembra avere come riferimento i Radiohead: non tanto nei suoni ma nello spirito sperimentale. E' un disco frutto di lavoro di studio (sentitevi l'impasto voce e archi di “Stato d'animo”) più che di un suono live, e con la precisa convinzione che la sperimentazione non deve prendere troppo spazio, perché il trio Godano/Bergia/Tesio (supportato da Gianni Maroccolo, alla produzione oltre che al basso) non perde troppo di vista la forma canzone, come spesso è successo ai Radiohead.
Così troviamo la splendida “Musa”, graziata dal piano di Paolo Conte, qualche accenno di rock (“Sapore di miele” e la bellissima “Fantasmi”, che a qualcuno potrà ricordare Capossela, ma che sembra invece richiamarsi al desert-rock dei Thin White Rope, ormai dimenticata grande band degli anni '80), ma anche eteree ballate come “Canzone ecologica”, addirittura la bossanova in “Negli abissi tra i palpiti”. Il tutto condito da ospiti quanti mai i Marlene ne hanno avuti (oltre a Conte il bassista di Tom Waits Greg Cohen, il pianista Vittorio Cosma, la voce di Ivana Gatti) e da una vena lirica di Godano molto intensa, ispirata nel titolo del disco e e nei testi dedicati all'attenzione al rapporto uomo-donna dallo scrittore russo Nabokov.

Insomma, i Marlene osano. E fanno bene, non solo a livello ideale: perché “Uno” è un disco che darà molte soddisfazioni a chi saprà ascoltarlo. Da “grande realtà del rock italiano” a “grande realtà della canzone italiana”, senza troppe etichette e pregiudizi.

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