Accoppiata bella sulla carta, ma anche rischiosissima: Wainwright è il più barocco dei cantautori usciti negli ultimi anni, ha dichiarate aspirazioni nazional-popolari, e ogni tanto si perde nei rivoli del suo immenso talento, un po' come era successo nell'ultimo disco di studio, “Want two”, estratto dalle stesse sessioni del bellissimo “Want one”. Metterlo in mano ad un musicista geniale come Tennant poteva far diventare ancora più eccessivo il suono, gli arrangiamenti, tutto.
Sulla carta, perché nei fatti “Release the stars” è invece un gran bel disco, a fuoco, che rimette in pista Wainwright e lo candida finalmente al riconoscimento che gli spetta, non solo di critica ma anche di pubblico.
Non che Wainwright abbia perso il suo gusto per la teatralità e per il retrò: la prima canzone, “Do I disappoint you”, mette subito le carte in tavola. Ma già la ballata successiva, “Going to a town”, riporta il disco verso atmosfere più sobrie, quasi alla Elton John, conservando la vena caustica della scrittura (“I'm so tired of America”, ripete il testo). Questi sono i due estremi del disco: in mezzo c'è spazio anche per un po' di rock (“Between my legs”), altre ballate mozzafiato (l'uno-due di “Not ready to love” e “Slideshow”) e mille rivoli di un talento straripante ma contenuto in maniera sobria senza però snaturarlo: insomma, evidentemente Tennant ha fatto il produttore davvero, dando una forma alla materia musicale, e tirando fuori il meglio dall'estro dell'artista, senza imporre la propria visione.
A settembre, si dice, uscirà un nuovo disco, la registrazione del live in cui Wainwright ha riproposto per intero uno storico concerto dell'icona gay Judy Garland, tenuto nel 1961 alla Carnegie Hall di New York. Ma non fatevi distrarre, il vero Rufus è questo, contemporaneamente moderno e retrò.