Seth Lakeman - FREEDOM FIELDS - la recensione

Recensione del 19 nov 2006 a cura di Gianni Sibilla

Ormai le storie di questo genere si moltiplicano: cantantautori che si autoproducono dischi e si fanno notare con il passaparola. Alcune volte diventano dei casi, anche da classifica, come David Gray o Damien Rice. Altre rimangono dei nomi di culto che hanno pochi ed affezionati fan in aree ristrette (è il caso di David Kitt, irlandese di cui abbiamo parlato in passato, famoso in patria e ignorato nel resto del mondo). Altre volte ancora il confine tra spontaneità e operazioni di marketing è molto labile, come nel caso di Sandi Thom.

E' difficile dire a quale categoria appartenga Seth Lakeman, anche se l'ultima la si può tranquillamente escludere: sicuramente la sua storia non è costruita. Sta di fatto che il disco precedente, “Kitty Jay” è stato registrato in casa con 300 sterline, ed è arrivato a guadagnarsi una nomination del Mercury Prize, un premio prestigiosissimo in Inghilterra.
Lakeman arriva dal Devon, è cresciuto con il folk inglese, e in questo disco ha avuto qualche strumento in più per registrare la sua musica. Ma ha comunque prodotto un piccolo gioiello, con questo “Freedom fields”: 13 canzoni di cantautorato folkeggiante, che non assomigliano né a nessuno dei nuovi cantautori inglesi citati prima, né a nessuna delle loro fonti (Nick Drake, per intenderci).
“Freedom fields” è un disco semplicissimo, con pochi strumenti (chitarra acustica, qualche violino e banjo, una sezione ritmica molto discreta), ma con radici ben solide nel folk angloirlandese. Uno di quei dischi che ti capitano in mano quasi per caso, senza saperne niente (come è successo a chi scrive) e poi non riesci più a liberartene per la forza delle canzoni, per la forza espressiva del cantante. E' tutt'altro che malinconico, Lakeman, o quantomeno non lo è come lo sono Rice o Gray. Le sue canzoni sono aperte, ariose; spesso assomigliano a delle gighe, come “The colliers”: mettono allegria, anche se magari parlano di argomenti non proprio spensierati ma legati al sociale (e non è un caso che Seth abbia aperto diversi concerti di Billy Bragg).

Insomma, un'altra bella scoperta che arriva dall'Inghilterra: un nome da appuntarsi non solo per il futuro, ma anche per il presente.

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