Neil Young - LIVING WITH WAR - la recensione

Recensione del 11 mag 2006 a cura di Gianni Sibilla

Tre giorni per registrarlo, i tempi tecnici per pubblicarlo: l’urgenza di cantare e di cantarle a qualcuno non ha tempo da perdere. Soprattutto quando a parlare è uno che non le manda a dire: Neil Young.

Non è passato neanche un anno da “Praire wind”, che ci ritroviamo tra i piedi il grande vecchio del rock. Si fa per dire, ovviamente: se tutti fossero e facessero come lui, il rock sarebbe ancora davvero rock, e non un’etichetta. Sarebbe ancora musica elettrica, incazzata e con qualcosa di importante da dire. Perché “Living with war” è elettrico, incazzato e con qualcosa di importante da dire. Anzi, è nato proprio dall’incazzatura, e dalla voglia di opporsi a quello che sta succedendo. Il titolo la dice lunga: si vive con la guerra, ma non c’è rassegnazione in queste 10 canzoni. Young dice che “non abbiamo più bisogno di bugie” (“The restless consumer”), ed esorta: “Let’s impeach the president” per tutti i suoi sorrisi, perché infrange ogni legge del paese... Il brano più bello del disco, che campiona gli stessi discorsi del presidente Bush per metterli alla berlina. Un’incazzatura che va dalla prima all’ultima canzone, una versione vocale di “America the beautiful”, giusto per far capire che non si tratta di rabbia distruttiva o antipatriottismo – Young è canadese, come noto, ma statunitense d’adozione – ma di amore per la propria terra martoriata.
Ma soprattutto una rabbia espressa con una grande creatività e un grande suono. Perché il bello di questo disco non è soltanto il processo, che ha spinto Young a fare pressione alla propria casa discografica affinchè lo pubblicasse appena possibile (il disco è in streaming dal 28 aprile sul sito del disco, e in vendita in formato digitale ancor prima della versione “fisica”, che ha ovviamente tempi manifatturieri più lunghi). No, il bello non è solo questo: sono le canzoni, e il modo in cui sono interpretate.
“Living with war” è un disco di canzoni secche, belle, dirette, suonate con “un power trio con tromba e 100 voci”, come ha detto lo stesso Young. Tradotto: ha il suono del miglior Young elettrico, quello che nei dischi di studio non si sentiva praticamente da “Ragged glory” (1990) e “Mirror ball” (1995) e, parzialmente, da “Sleeps with angels” (1994) e “Broken arrow” (1996). Insomma, chitarra basso e batteria (anche se non ci sono i Crazy Horse ma il bassista Rick Rosas e il batterista Chad Cromwel, con l’aggiunta appunto di una tromba e di molti cori).
Insomma, un vero disco rock. Come hanno commentato recentemente i Pearl Jam, autori dell’altro grande disco rock del momento, Young ha la forza e la capacità di comunicare idee semplici, con forza e credibilità. E di fare grande musica, aggiungiamo noi.


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