Jack Johnson - SING-A-LONGS AND LULLABIES FOR THE FILM CURIOUS GEORGE - la recensione

Recensione del 23 feb 2006 a cura di Gianni Sibilla

In america usano un’espressione per definire l’atteggiamento tipico della west-coast (e delle Hawaii, che sono ancora più a ovest): “laid-back”. Un’espressione intraducibile, che indica una rilassattezza che si oppone all’iperattività un po’ nevrotica degli abitanti della east-cost (newyorkesi in particolare).

Si tratta solo di stereotipi, è chiaro, simili a quelli (ben più razzisti, talvolta) che circolano da noi sulla distinzione nord-sud. Però quell’espressione definisce bene la musica di Jack Johnson. Che infatti è uno che apprezza la bella vita: hawaiano, ex-surfista, ha sempre definito la sua musica “brushfire records”, dischi da falò sulla spiagga, come esplicita il nome della sua etichetta; una chitarra, una voce, temi politically correct e poco di più. L’apice di questo stile di vita e musicale (apprezzatissimo anche da noi, tanto che la prima data italiana di Jack, a Milano a Marzo, sta vendendo benissimo e andrà probabilmente esaurita) è stato il disco dello scorso anno, “In beetween dreams”. Ma, se possibile, questo disco è ancora più “laid back”.
“Sing-a-longs and lullabies for the film Curious George” non è propriamente il nuovo album di Johnson, ma quasi: contiene 9 canzoni inedite del cantantautore/surfista, più alcuni duetti con amici (Matt Costa, Ben Harper) scritti e assemblati come colonna sonora del film di animazione ispirato alle gesta della scimmietta Curious George, popolare personaggio di libri per bambini statunitensi. E’ sostanzialmente una collezione di canzoni (o canzoncine, come dice lo stesso titolo) volutamente giocose come il contesto che le ha generate. Piacevoli e divertenti, ma nulla più: sentitevi “The three R’s”, che parte dal noto brano dei De La Soul, recentemente usato anche da una compagnia di telefonia mobile, per arrivare a dire – con l’aiuto di un coro di bambini – che 3 è il numero magico delle “R”: “Reduce, re-use and recycle”. Poi ci sono i duetti, dicevamo: e alla fine il brano più bello è la rivisitazione acustica di “With my own two hands” con Ben Harper.

Insomma, un disco rilassato, ancora più del solito: per questo è meno bello di “In beetween dreams”, che era inevitabilmente più completo e a fuoco. Ma comunque un disco che piacerà ai sempre più numerosi fan di questo cantante, per noi italiani esotico ma non troppo e comunque piacevole e divertente: qui sta il suo bello, e la sua dote più grande.

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