Oggi capita che prendi in mano il disco dei Killers e ti sembrano inglesi (sono di Las Vegas). O questo disco dei Bloc Party e, come gli Interpol, sembrano usciti dalla New York fine anni ’70- primi anni ’80. Solo che gli Interpol sono di New York, anche se gli anni sono quelli attuali. I Bloc Party, invece sono londinesi.
Devo dire che, quando mi è capitato in mano per la prima volta, questo disco non mi è sembrato granché: era lo scorso dicembre, e i Bloc Party aprivano le date degli Interpol (compresa quella infausta di Milano, fatta in una discoteca stracolma e invivibile). Mi sembrava troppo forte il paragone con la band newyorchese – con cui condividono le fonti: il post – punk americano, più un tocco di new wave inglese, tipo Joy Division.
Complice il chiacchericcio mediatico che si è sviluppato sulla band da allora – ora sono considerati il gruppo rock di moda del momento – e complice il consiglio di un amico di cui mi fido (ehi, anche chi recensisce i dischi si fida del passaparola), l’ho ripreso in mano. E bisogna dire che il chiacchericcio e il passaparola mi sembrano giustificati: “Silent alarm” è un bel disco di rock, sulla scia di quelli che vanno di moda. Interpol, per l’appunto, Franz Ferdinand, Killers. Rock irregolare, ma melodico; chitarristico ma non rumoroso. Meno caciaroni dei Killers e meno artefatti degli Interpol, i Bloc Party sono una buona sintesi del “movimento” (ammesso che ce ne sia uno), ed è forse per questo che funzionano. Brani come “She’s hearing voices” o “The pioneersi” uniscono un gran tiro con soluzioni strumentali e strutturali non banali ad un buon senso della melodia.
Ancora una volta, quindi: un disco forse non sconvolgente, certamente non la band destinata a cambiare la sorte del rock ‘n’ roll; ma comunque un buon lavoro, che rielabora in maniera abbastanza originale un suono come quello della new wave, rendendolo attuale. Poi, se sarà vera gloria, sarà il tempo a dirlo.