New Order - WAITING FOR THE SIRENS CALL - la recensione

Recensione del 31 mar 2005 a cura di Gianni Sibilla

Pochi gruppi possono vantare la credibilità dei New Order. Pochi gruppi possono vantarsi di essere passati indenni, anzi di avere anticipato le stagioni della musica pop, di averle attraversate da protagonisti: dal post-punk e dal dark dei Joy Division alla rinascita come New Order, alfieri della new wave prima e del dance-rock poi, in largo anticipo su gente come Primal Scream, Chemical Brothers, Faithless, Moby (o Subsonica in Italia), tanto per fare qualche nome.

Quando la band, a fine anni ’90, si è rimessa in pista dopo una lunga pausa che sembrava uno scioglimento, le trombe dei media inglesi hanno iniziato a suonare. A ragione, perché “Get ready” (uscito poi nel 2001) era un piccolo capolavoro. Un disco inaspettatamente rock, ma sempre con quel marchio di fabbrica, il groove di basso di Peter Hook e un’attenzione alla melodia che pochi altri hanno saputo avere. Però.
Però, gli esiti di quel disco sono stati solo parzialmente buoni, si dice. Molti complimenti, tanti riconoscimenti ai padri fondatori di un genere, collaborazioni importanti (Billy Corgan, Primal Scream, Chemical Brothers). Non stupisce quindi che questo nuovo disco sia un parziale ritorno alle origini. Parziale, però_ “Waiting for the sirens’ call” è un disco che recupera sì l’anima più “dancettara” dei New Order, quella sperimentata nei dischi più di successo come “Technique” e in canzoni come “Blue Monday”. Recupera quest’anima dance e la ricongiunge con le chitarre di “Get ready” (anzi, con chitarre più pop-rock, che a tratti ricordano quelle degli Smiths, forse memori degli Electronic, la band in cui il cantante Bernard Sumner suonava proprio con Johnny Marr). Così facendo spera, la band spera di ritrovare con il pubblico che evidentemente non aveva accolto il ritorno di quattro anni fa.

Questo fa sì che “Waiting for the sirens’ call” sia un gran bel disco, che in alcuni momenti azzecca delle gran canzoni, come il singolo “Krafty”, perfetta sintesi di questo percorso, o come “I told you so”, che inizia su un beat per poi aprirsi su chitarre quasi psichedeliche. In altri, invece, il suono sembra rimanere un po’ troppo in mezzo al guado, come in “Morning night and day”, dove la sintesi non avviene. Capita però che, subito dopo, i New Order indovinino un attacco di basso-batteria elettronica-tastiere - chitarra-voce di quelli da brivido (la canzone è “Dracula’s castle”) e che tutto torni a posto, come per miracolo.
Anzi, no, nessun miracolo: se i New Order hanno questa credibilità, un motivo c’è: è la capacità di fondere suoni diversi, di aver saputo creato un genere. “Waiting for the sirens’ call” , alla fine, forse stupisce meno di “Get ready” (che era pur sempre un ritorno sulle scene dopo 8 anni, con tutto il portato emotivo che questo comportava). Però, alla fine, è un disco che rappresenta meglio le diverse anime della band, il suo passato e il suo presente. Ed è pur sempre l’opera di una band un gradino sopra a tutti quelli che la imitano o l’hanno imiatata negli ultimi 20 anni.


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