Per tentare di capire questo “D’anime e d’animali”, forse, bastano questi pochi secondi che danno il via alla canzone. Musica e parole che richiamano temi del passato di questo gruppo, attualizzandoli. La resistenza, non solo quella storica a cui i CSI hanno dedicato molte canzoni, ma anche quella più piccola di un nucleo di musicisti e persone, che si trovano ad affrontare e superare delle difficoltà. Questo è il secondo disco di studio del gruppo, che ha subito una nuova mutazione, forse meno traumatica di quella che aveva segnato l’abbandono di Massimo Zamboni (e il passaggio da CSI a PGR), ma non meno profonda. Sono usciti dal gruppo Ginevra Di Marco e Francesco Magnelli, e ora il nucleo di base è costituito da Giovanni Lindo Ferretti, Gianni Maroccolo e Giorgio Canali, affiancati da Pino Gulli alla batteria e dal polistrumentista Cristiano della Monica.
I tre "superstiti" sono “ritornati al futuro” e hanno sfornato un disco rock, basato su chitarre, basso e poco altro. Ovvero un suono secco ed elettrico, che a tratti ricorda quello dei CSI, con la novità di una contaminazione con la musica popolare (come in “Casi difficili”, che inizia come il suono della tamorra).
“D’anime e d’animali” può essere letto come un disco “di reazione”: a quello che è successo nel gruppo e a quello che sta succedendo nel mondo. Musicalmente è un disco pieno di reminescenze, che si riassumono nel “fotti tecnica, vaffanculo impianto” che Ferretti urla nell’iniziale “Alla pietra”, canzone che racconta la sera del 9 luglio 2003, alla Pietra di Bismantova. In quella circostanza i PGR si trovarono a dover improvvisare un concerto al chiuso per le intemperie esterne, mandando a quel paese ogni strumentazione. Allo stesso modo, hanno quasi improvvisato questo disco, scrivendolo ed incidendolo in pochissimo tempo, ripensandolo completamente dopo l’uscita di Ginevra e Francesco. Ne è venuto fuori un lavoro che tralascia le contaminazioni elettroniche dell’esordio eponimo del gruppo e mette a nudo le anime musicali di questi tre artisti come forse mai era successo nella loro lunga carriera. “Cavalli e cavalle” o “Orfani e vedove” sono canzoni che suonano piacevolmente famigliari a chi seguiva CSI e CCCP, però non sembrani “già sentite”: trovano un difficilissimo equilibrio tra un’identità musicale ben definita e il riuscire a non ripetersi.
Poi ci sono i testi di Ferretti, che sono contemporaneamente molto intimisti (come nei ricordi de “I miei nonni”) e molto crudi e polemici, di chi dice “sono perplesso, sono depresso, sono incazzato, molto molto peggio” per ciò che vede intorno. Si potrebbero scrivere pagine e pagine per commentarli, ma la cosa migliore è lasciare all’ascoltatore il piacere (o l’incazzatura) di scoprire questi spunti.
Insomma, un disco bello e diretto, e non c’è altra conclusione possibile a questa recensione se non l’invito ad ascoltarlo: non vi lascerà indifferenti.