Eppure il suo terreno rimane la musica. E qua è una stella di prima grandezza. Nessuno come lui è riuscito a svecchiare il country, contaminandolo con la canzone cantutorale, con lo swing, con il jazz e con il gospel, e donandogli un po’ di sana autoironia, utile a sfatare quell’alone veteromaschilista che spesso accompagnava il genere.
Da questo punto di vista, “My baby don’t tolerate” è un po’ una summa di tutta la carriera di questo personaggio. C’è il country, ovviamente, con quelle chitarre e quei violini che affiorano un quasi ovunque. C’è il blues della title track e c’è la musica d’autore più classica: “You were always there” è un piccolo grande gioiello, che ricorda alcuni momenti di “I love everybody” – il disco "dylaniano" di Lovett che a detta di chi scrive rimane la cosa migliore da lui prodotta. C’è il gospel dei due brani finali, “I’m going to wait” e “I’m going to the place”. C’è l’ironia sull’ambiente country, ben evidente in “On saturday night”, che parla di una “famiglia-tipo”: “Vivono a Nashville, guidano una Coup De Ville, tutti prendono delle piccole pillole il sabato sera”.
Soprattutto, c’è una capacita di scrittura e intepretazione praticamente senza pari. Canzoni belle, memorabili e inconsuete allo stesso tempo, cantate da una voce calda. Insomma, Lyle Lovett è un grande: se uno solo dei generi vi piace, e se non avete questo atipico country-man, “My baby don’t tollerate” è l’occasione buona per scoprirlo..