Questo album vede i Blink impegnati a costruire arrangiamenti decisamente più elaborati del solito: i limiti della formazione a tre vengono superati con l’apporto di qualche ospite esterno e l’approccio è più sofisticato rispetto alla linearità dei vecchi successi. Idea non disprezzabile, che però contrasta con la tendenza a rigirare sempre le stesse formule melodiche, evidente soprattutto nelle cantilene di Tom DeLonge. Può funzionare come trucco per mantenere saldo il contatto con i vecchi ammiratori, ma finisce col ridimensionare gli sforzi per trovare strade diverse. Sfilano così pezzi caratterizzati da scelte insolite per il gruppo, come "I miss you" (chitarra acustica, contrabbasso e batteria suonata con le spazzole), la lenta "All of this" cantata insieme a Robert Smith dei Cure, e lo strumentale "The fallen interlude" (non molto riuscito, in verità), ma anche episodi più aggressivi come “Go” (facilmente accostabile al passato della band), “Stockholm syndrome”, “Always”, con un ritornello che ricorda i Bad Religion, e “Violence”. L’impressione generale è che i tre siano sinceramente convinti di questa svolta (sul booklet si dilungano anche a spiegare dettagli tecnici sulla registrazione dei brani), ma per ora restano in un limbo indefinito, a metà strada fra le ambizioni da grande gruppo rock e la voglia di fare casino da giovinastri cresciuti col punk. Potrebbero anche riservare qualche sorpresa in futuro, sempre che il pubblico abbia voglia di continuare a seguirli. Per i fan accaniti, vale la pena di segnalare la presenza di una traccia video con ben quattro clip (“Feeling this”, “obvious”, “Down/The fallen interlude” e “Violence”). Può bastare, in attesa di tempi migliori?
(Paolo Giovanazzi)