Simply Red - HOME - la recensione

Recensione del 01 apr 2003 a cura di Gianni Sibilla

Si fa presto a dire anni ’80. Come se le periodiche ondate di revival - promosse da compilation, manifestazioni e trenta-quarantenni che al tempo ascoltavano queste canzoni - bastassero a certificare che il periodo è stato uno dei migliori della storia della musica.

Non lo è stato, per la cronaca. Ha avuto molti alti e altrettanti bassi, ed è curioso che nelle periodiche rivisitazioni si rispolverino soprattutto questi ultimi, nomi che, al tempo, quasi ci si vergognava a citare.
I Simply Red fanno parte a pieno titolo degli anni ’80. Della seconda metà, per la precisione, e con il loro soul pop hanno dominato abbondantemente le classifiche del periodo. Non hanno mai preteso di ergersi a paladini della trasgressione o dell’innovazione, ma hanno sempre mantenuto una loro dignità artistica, mai sfociata in scelte di basso livello. E, giusto per chiarire lo sfondo, questo “Home” è sì un ritorno alle origini, ma non è un disco centrato sulla nostalgia per quegli anni.
“Home” è il primo disco inciso per un’etichetta indipendente, dopo la separazione dalla major East/West. Mick Hucknall, indiscusso leader della band, ha così creato la Simplyred.com, e ha rivenduto il disco in licenza a singole etichette, paese per paese: in Italia lo distribuisce e lo promuove la NuN.
Causa della fine del periodo culminato in “Love and the Russian winter” è stata anche una tendenza alla sperimentazione che ha un po’ snaturato il suono della band. Così questo disco è una sorta di ritorno a casa, ma senza troppa malinconia. Ve ne sarete accorti ascoltando il singolo “Sunrise”, programmatissimo dalle radio italiane: il mix di melodia e voce “nera” è quello che ha fatto la fortuna (40 milioni di copie vendute), unite con un tocco di modernità (il campione che fa da base al disco, un “sample” di Hall & Oates).

Questo “Home” va quindi inserito alla voce “andata & ritorno”, più che a quella “revival”. E’ l’ennesima dimostrazione dell’inevitabile percorso di chi fa musica con successo: si stabilisce uno standard, ci si stufa (o lo si sente come una gabbia), ce ne si allontana sperimentando – spesso con insuccesso di pubblico e critica -, e si torna all’ovile. Molti grandi nomi – anche in tutt’altro genere musicale – hanno seguito questo percorso: dagli U2 a Springsteen, per arrivare agli Oasis, per citare i primi nomi che vengono in mente.
Seguendo questa logica, in “Home” troverete una manciata di buone canzoni, cantate con una voce unica, e arrangiate in modo sobrio, con concessioni all’elettronica limitate e mirate (forse solo le ritmiche di “Money in my pocket”) e molta enfasi su quel soul pop che è il marchio di fabbrica di Hucknall e soci. Spicca su tutte la cover di Dylan, “Positively 4th street”, ma in generale “Home” è un disco piacevole, che non ha grosse cadute di tono e che ha tutte le caratteristiche e le canzoni per riavvicinare Hucknall al grande pubblico : dalle ballad (“You make me feel brand new” e la title track) alla solarità contagiosa (“Fake”).


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