(Paolo Giovanazzi)
King Crimson - THE POWER TO BELIEVE - la recensione
Recensione del 03 feb 2003
I numerosi fedelissimi di Robert Fripp hanno una buona occasione per
ampliare la loro collezione con due titoli nuovi. In ordine di
pubblicazione, il primo è un EP che contiene undici brani: alcuni sono
frammenti di breve durata (“Bude”, “Mie gakure”, “She shudders”, “I ran” e
“Clouds”), c’è la quarta parte di “Larks’ tongues in aspic” (che compariva
anche nel precedente “The construKction of light”), la traccia-fantasma
“Einstein’s relatives” e la title-track è un anticipo della seconda
pubblicazione, “The power to believe”, nuovo album in studio dei King
Crimson. Non si tratta di un doppio acquisto inutile: l’EP infatti non si
limita a fare da trailer e offre diverso materiale non incluso nel lavoro
maggiore. Non ci sono novità musicali di particolare rilievo alla corte del
Re Cremisi, ad eccezione della parziale sorpresa rappresentata dal pezzo
portante dell’EP (incluso in versione poco più breve anche nell’album), che
presenta il gruppo in una veste dura, verrebbe da dire quasi nu-metal. La
complessità ritmica del brano però è di chiara matrice Crimson e non lascia
spazio al dubbio che si tratti di un improbabile tentativo di cercare nuovi
ammiratori fra i seguaci dei Korn. Oltre a “Happy with what you have to be
happy with”, ci sono “Eyes wide open” (in versioni diverse su EP e album) e
“Potato pie” (solo sull’EP) a mostrare Fripp e i suoi compari impegnati a
scrivere qualcosa di simile a canzoni, senza ovviamente rispettarne le
strutture classiche. Ma il punto focale dello stile dei King Crimson di oggi
sono composizioni complesse, basate in gran parte sulle tessiture
chitarristiche ordite dal leader e da Adrian Belew. Non c’è dubbio che il
gruppo sia una macchina rodatissima e che Trey Gunn e Pat Mastelotto siano
musicisti perfettamente in grado di tenere il passo dei più celebri
compagni. “The power to believe” ha tutte le qualità per farsi amare dallo
strumentista in vena di approfondire la propria tecnica, ma proprio per
questo può anche scoraggiare l’ascoltatore poco interessato all’argomento e
poco avvezzo ad atmosfere cupe come “Level five” o “The power to believe
III”. Se negli anni '80 la band sembrava volersi proporre in modo più
accessibile, i King Crimson di oggi giocano invece a fare i difficili, forti
di un passato prestigioso e consapevoli di assomigliare solo a se stessi.
Qui sta il fascino ma anche il limite più evidente della loro musica, che
rischia di chiudersi in un universo a parte, avvicinabile principalmente
attraverso lo zelo dello studioso e quello dell’ammiratore devoto: è cibo
per la mente, ma fatica a trovare la strada del cuore.
(Paolo Giovanazzi)
(Paolo Giovanazzi)