Quello degli Audioslave è uno dei dischi rock più attesi dell’anno. Preceduto da un chiacchiericcio infinito, da anticipazioni sul nome della band (che originariamente era “Civilian”), da smentite prima sull’esistenza della band stessa e sull’uscita del disco, “Audioslave” mantiene le attese, almeno in buona parte.
Partiamo dai difetti; le 14 canzoni sono esattamente quello che vi potete aspettare: le acrobazie chiarristiche di Tom Morello e quelle vocali di Chris Cornell che si fondono, senza grandi sorprese, e con una rinuncia alla componente hip-hop/arrabbiata dei Rage.
Si potrà poi anche dire che i riff di Morello li faceva già Jimmy Page, e gli urli di Cornell sembrano quelli di Robert Plant. Morello e Cornell non hanno nulla da invidiare a nessuno, però. E questo ci porta ai pregi: sentire Rock con la “R” maiuscola come quello di questo disco non può fare che piacere. Rock quello duro, pestato e urlato, sporco e lontano mille miglia dai suoni pseudo moderni del “Nu Metal”. E fa un gran piacere sentire Cornell cantare di nuovo come ai tempi dei Soundgarden, su tonalità alte, abbandonando la dimensione più cantautorale dell’esordio solista “Euphoria morning”. L’ex Soundgarden non è paragonabile in niente a Zack de la Rocha, e questo rende gli Audioslave un gruppo davvero diverso. Anche gli immaginari di riferimento, non solo il cantato, sono differenti: più politico l’ex Rage, più introspettivo e cupo Cornell, come dimostrano le liriche del singolo “Cochise” o “Show me how to live”. Il meglio gli Audioslave lo danno, paradossalmente, nelle ballate come “I am the highway”: un genere già esplorato da Cornell, ma non da Morello, Tim Commerford e Brad Wilk.
In definitiva “Audioslave” è un gran bel disco. Forse era lecito attendersi qualche sorpresa in più, data la caratura dei nomi in gioco. Ma anche così va benissimo, con la speranza che questo gruppo non sia un progetto estomporaneo, ma diventi anche in futuro una solida realtà del panorama rock.