Si tratta quindi di materiale più recente di quello di “Alice”, che risale ai primi anni ’90. Tom Waits ha scelto di interpretarlo in maniera molto differente: i toni sono decisamente più teatrali, jazzati, quasi rumoristici. Vengono alla mente Brecht e Weil, in più di un episodio: sarà una suggestione o sarà perché l’origine di questa messa in scena è un'opera tedesca (“Woyzeck” è stato originariamente scritto nel 1837 dal poeta tedesco George Buchner). Ma queste influenze non sono una novità: la cifra stilistica del cantautore californiano, soprattutto nel periodo post-“Swordfishtrombones”, è stata la fusione del songwriting americano con una teatralità interpretativa di derivazione europea.
“Blood money” è sicuramente il disco più ostico del duo. Quello strumentato in maniera più ardita, più incentrato su strutture irregolari, come dimostrano l’iniziale "Misery is the river of the world" o "God's away on business". Solitamente, Waits sembra calcare volutamente la mano sulla inimitabile voce, per far emergere questa dimensione più teatrale. Lo si nota soprattutto nelle ballate, stupende come ogni canzone di questo tipo scritta dal Nostro, ma meno lineari di quelle che invece dominano Alice: “Coney Island baby”, per esempio, o "Another man's vine".
“Blood money” è un disco speculare ad “Alice”: differente eppure totalmente complementare. Non lo si può certo accusare di avere pubblicato troppo materiale (come si poteva fare, per esempio, nei rari casi in cui qualcuno fece operazioni simili: lo Springsteen di “Human touch” e “Lucky town” o i Guns n’ Roses di “Use your illusion I & II”). Queste canzoni (ancora una volta co-firmate con la moglie) hanno storie sono diverse, ma sono simili nella loro bellezza.
“Alice” pare un disco più piacevole (strano aggettivo, riferito a Waits…), perché fa riscoprire un lato del Nostro che, forse, si era un po’ perso, quello delle ballate. Detto questo, la sua musica, considerando tutta la fuffa che ci gira intorno, non è mai troppa…