C’è poco da stupirsi, quindi, per la mossa di far uscire in contemporanea due dischi come “Alice” e “Blood money”. Tanto più che le canzoni di questi album sono il frutto della collaborazione con il drammaturgo Robert Wilson, che aveva giù dato vita a “The black rider” (1993, penultima prova del Nostro).
Partiamo dunque da “Alice”, riservando a Blood Money lo spazio recensioni di domani, 8 maggio. Le canzoni di questo album sono note ai fan più appassionati: vennero scritte nel 1992 per l’omonimo spettacolo ispirato all’ossessione di Lewis Carroll per Alice Lindell, musa del noto romanzo; da allora sono abbondantemente circolate sotto forma di bootleg. Tom Waits le ha però reincise recentemente, contestualmente a “Blood money”.
Dei due dischi, “Alice” è sicuramente quello meno sperimentale. Ed è bizzarro, se si pensa che il ’92 è l’anno in cui Waits pubblicò “Bone machine”, ovvero il disco in cui messe a punto più compiutamente le sue melodie rumoristiche.
“Alice” è sostanzialmente un disco di ballate, la cui atmosfera è perfettamente riassunta dalle prime parole del disco, pronunciate nella title-track: "It's a dreamy weather we're on", “Siamo sotto un tempo sognante”. Certo, non mancano le canzoni dalla struttura irregolare, vaudevilliana e jazzata come "Everything you can think", "Kommienezuspadt" o "We're all mad here". Ma a tenere la scena sono soprattutto piccoli, soffusi gioielli come "Flowers grave", che fanno tornare alla mente il Waits dei primi dischi. L’interpretazione vocale, per esempio, è sempre roca, ma solo in un paio di episodi è volutamente forzata, diventa quasi un cupo ruggito. Il tutto è popolato dal consueto campionario di personaggi surreali, perfetto compendio dell’ispirazione Carolliana del lavoro.
I brani sono stati co-firmati con la moglie Kathleen Brennan (“la mia Alice”, dice Waits). Tra gli ospiti, l’ex-Police Stewart Copeland che suona una non meglio precista “Trap kit” in “Table Top Joe”.