Sheryl Crow - C'MON, C'MON - la recensione

Recensione del 01 mag 2002 a cura di Gianni Sibilla

Per certi dischi, il caro vecchio adagio dei Rolling Stones è la definizione migliore: è solo rock ‘n’ roll, ma piace.
Parole che si adattano alla perfezione al quarto disco di studio di Sheryl Crow. Che è esattamente quello che ci si può immaginare: un piacevole esercizio di stile nel solco del rock americano, radiofonico quanto basta per garantire un buon successo in patria, ben scritto e ben suonato quanto basta per accontentare gli aficionados del genere. Perché, a ben vedere, la cantante americana non ha scoperto nulla: scrive canzoni radicate nella tradizione più tradizionale: riff di chitarra efficaci, bella costruzione sonora con armonie e strumentazione classica (oltre alla chitarra, una spruzzata di piano e organo) belle melodie e una bella voce. “Soak up the sun”, il primo singolo estratto da questo “C’mon, C’mon” ne è forse l’esempio più lampante, nel bene nel male: un perfetto esempio di pop-rock, tanto gradevole quanto già sentito. E così molte altre canzoni di questo disco, da “You’re an original” a “Steve McQueen”, da “It’so easy” a “Hole in my pocket” alla title-track.

Dov’è la novità, allora? Non sono certo le spruzzate di elettronica che coloriscono “Safe & sound” o “Soak up the sun” a fare la differenza, quanto l’atmosfera generalmente più solare e carica, rispetto ai dischi precedenti, dove risaltavano di più le ballate. Altra novità è la corte di ospiti che popola le 14 canzoni del disco. Novità solo in parte, se si pensa che Sheryl ha pubblicato qualche tempo fa un live ricco di “partecipazioni straordinarie”. Comunque: in “C’mon, C’mon” si sentono le voci di Lenny Kravitz, Don Henley, Liz Phair, Stevie Nicks, Emmylou Harris.
Insomma, un buon disco, a patto di non pretendere nulla di più che una buona rilettura della tradizione. Le novità della musica stanno altrove.

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